Editoriali

Giochi più che olimpici, politici

Tra frecciatine e propaganda, la Cina ha sbandierato il suo momento di gloria

Sempre costruire ponti, mai erigere muri. Il mondo si unisce, date una possibilità alla pace”, è questa la missione dei Giochi olimpici per il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, che con queste parole ha ringraziato il presidente cinese Xi Jinping durante la cerimonia di apertura di ieri. Una cerimonia che doveva essere  ostacolata dal boicottaggio diplomatico nei confronti della Cina nel nome della persecuzione contro la minoranza  uigura e della repressione a Hong Kong.

 

Ma nei fatti, nulla sembra essere andato storto per Xi: sugli spalti c’erano i leader di ben 22 nazioni – una formazione più grande anche di quella di Tokyo 2020. Xi Jinping aveva assicurato delle Olimpiadi “semplici, sicure e splendide”, e così è stato. Se la cerimonia del 2008 serviva a dimostrare la grandezza di una Cina in ascesa, ieri non ce n’era bisogno, il messaggio era: siamo già grandi. E naturalmente: “Grazie ai Giochi olimpici invernali di Pechino, possiamo rilanciare insieme i valori della solidarietà, dell’unità e della cooperazione tra i popoli” scrive un post celebrativo sul blog di Beppe Grillo. Eccola quindi in piena operatività la macchina della propaganda, condita da una serie di messaggi in codice in mezzo a uno spettacolo  straordinario.

 

Hong Kong e Taiwan hanno sfilato “casualmente” una dopo l’altra e Taiwan, mentre veniva chiamata Taipei cinese (Zhonghua Taibei), dagli annunciatori nello stadio, l’emittente statale cinese Cctv ha detto “Cina, Taipei” (Zhongguo, Taibei). Subito dopo, la telecamera è passata sul presidente. “Non un centimetro di madrepatria deve essere perso!”. Sul social cinese Weibo molti utenti hanno notato che nello spettacolo dei bambini  in cerchio una bambina in posizione  sud-est fosse rimasta fuori e poi ripresa per mano per unirsi: “E’ Taiwan: nessuno sarà lasciato indietro”. Emblematica poi la scelta di far accendere la fiamma olimpica all’atleta uigura Dinigeer Yilamujiang, al fianco di uno di etnia Han. Per fermare la propaganda di Pechino, il boicottaggio diplomatico forse non basta.