(foto LaPresse)

il foglio sportivo - il ritratto di bonanza

Quel filo che unisce Allegri e Mourinho

Alessandro Bonan

Entrambi giocano un calcio razionale senza il possesso della ragione. Hanno bisogno di collettivi e società influenti. In questo momento condividono lo stesso destino insoddisfacente

C’è un filo sottilissimo ma teso che unisce Allegri a Mourinho. Sono entrambi profetici, nessuno specchio con un filosofo, un teorico, comunque un pensatore. Sono irrequieti del calcio, dotati di slancio vitale, generali sul campo di battaglia, pronti a mosse vincenti, o il contrario e più raramente, perdenti. Giocano un calcio razionale senza il possesso della ragione, il che può sembrare un controsenso, ma non è così. Perché nel loro modo di muovere una squadra non c’è l’idea dominante, la teorizzazione sulla carta, ma l’esperienza, il vissuto, la ricerca della finezza come marchio, traccia di sé, corroborata dall’istinto, il guizzo, il colpo di genio incoraggiato dalla fortuna che, come si sa, premia chi la blandisce. 

Hanno entrambi bisogno di collettivi forti e società influenti. Ad Allegri manca una squadra, e forse anche una società così come la si intendeva fino a ieri: non solo potente ma anche strategica. I giocatori di cui dispone sono di alto livello, presi uno ad uno, ma messi insieme assomigliano a disertori che si ritrovano per caso sotto lo stesso tetto.  Appaiono stanchi e sembrano non sapere nulla l’uno dell’altro, si guardano, non possono amarsi, vorrebbero conoscersi ma nessuno fa il passo decisivo verso l’altro. Chiesa si spara da solo come una donna cannone, oltrepassa il grande telo e sparisce nel vuoto. Si butta tra le stelle, per meglio dire, ma quello slancio sembra essere l’unico atto eroico di una squadra a cui Allegri non riesce a dare ancora un nome

Mourinho al contrario, quel nome ce l’ha in testa, ma non gli viene di dire la parola. Che cosa sei Roma? gli chiedono, non ottenendo in cambio una risposta. Con il talento di Zaniolo, prova a sfondare il muro del suo stesso silenzio ma ancora non basta. La società è cambiata da poco, anche se tutto il nuovo che passa dalla capitale sembra antico, appartenente più al passato che al futuro. La scommessa di Mourinho sarà esattamente quella di frenare il flusso continuo di una storia che sembra ripetersi in eterno, metterci un punto, anche una virgola, insomma cambiare la natura del discorso per renderlo più chiaro a tutti e cominciare a dare una risposta alla domanda principale: ma quando torneremo a vincere? Parlare di arbitraggi, nell’epoca del var, è come discettare di nuvole, di stelle, di universo: non porta a nulla. Meglio fermarsi, pensare, frenare il proprio slancio. Allegri lo sta facendo, camminando inespressivo sopra carboni ardenti, Mourinho fa più fatica, perché dalle sue parti anche il carbone è incendio. Sono tesi, sottilissimi, come il filo che li congiunge. Ma non si strapperanno mai.

Di più su questi argomenti: