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il foglio sportivo – il ritratto di bonanza

Ce ne vuole a esser Allegri

Alessandro Bonan

La Juventus fa fatica, ha vinto con gli spasmi un’unica partita ma i segnali che ha dato non sono molto incoraggianti. Ci sta, siamo solo all’inizio. Il problema è che il calcio di vertice non ha rispetto del tempo

Ha ragione Massimiliano Allegri: il calcio è semplice. E proprio questa semplicità lo conduce nel territorio delle regole. Tra queste, l’alta probabilità del fallimento di un ritorno. Tutto è prematuro, in divenire, senza una forma, una sostanza. La Juventus fa fatica, ha vinto con gli spasmi un’unica partita ma i segnali che ha dato non sono molto incoraggianti. Ci sta, siamo solo all’inizio. Ma il calcio di vertice non ha rispetto del tempo, e lascia alla costruzione, al riordino, all’idea, lo spazio di una preghiera. Il resto è fretta, accuse, offensiva senza pietà se non arrivano subito i risultati. Allegri è un uomo di mondo, così almeno pare dal suo fare livornese, perennemente al limite tra il provocatorio e il disincantato, tra il tutto e il nulla, come se tutto fosse quello che sa e nulla quello che pensa di non sapere.

Tra le cose di cui era a conoscenza anche il rischio di una rentrée, per dirla alla francese (visto che di mondo parliamo). E per di più, nella classica situazione di transizione in cui si trova la Juventus, impegnata a passare da un’era di sperperi a una di rilancio, attraversando il mare piatto del contenimento dei costi. Ma sotto la superficie di quel mare, serpeggiano murene e calamari giganti, capaci con un colpo di coda o di tentacolo, di provocare un naufragio. Perché dunque Allegri, che proprio dal mare arriva, ha scelto di tornare? Aveva vinto tutto in Italia e conquistato il massimo in Europa con due finali. Si era accaparrato l’affetto di chi ama il calcio nella sua schiettezza, allontanando quelli che lui stesso definiva gli scienziati. In una epifania televisiva, era salito in cattedra e in un attimo fuggente convinto la platea che proprio quegli scienziati nel calcio fanno soltanto danni. Gli avevano creduto in tanti, portandolo da esempio come l’illustre che sa come si spiega il calcio anche ai bambini. Tornato all’improvviso e con sorpresa nella panchina dov’era già stato, in poche settimane l’aura d’argento che lo cerchiava si è spenta. Intorno a lui, un livido fumè.

 

Ha scelto di giocare facile per non sbagliare, impostando la Juventus tutta difesa e contropiede. lo hanno rimontato, battuto e rimontato ancora. Infine ha vinto una partita stramba, dove, con l’ironia che porta tra i suoi denti abbalconati, il conte Max ha addirittura sdoganato in bianconero la parola salvezza, probabilmente per la prima volta nella storia del club juventino. Adesso arriva il difficile, che però ricalca il semplice: sommare a quello di La Spezia altri successi. Perché, lo hanno sempre detto loro, alla Juventus “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.