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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

José Mourinho, il gatto

Alessandro Bonan

Di ritorno in Italia dopo undici anni, lo Special one trova un mondo dove tutti parlano mentre prima, ai tempi nerazzurri, parlava solo lui. Così il silenzio diventa il modo più efficace per sorprendere

Se è vero che la perfezione è un incidente di percorso, José Mourinho è l’allenatore ideale per cercarla. In lui tutto si esprime secondo un ordine disatteso, dentro regole asimmetriche che lo pongono al riparo dalla prevedibilità. Quando si affacciò in Italia, prese il nostro mondo in contropiede con un comportamento stanziale tra il vero e il falso, sempre al limite tra la realtà è il mistero di una qualsiasi bugia, comportandosi come un attore senza scena né sceneggiatura. Diceva quello che aveva in testa come guidato da un istinto esistenziale, alternando il caso, o il caos della asciutta provocazione, all’ordine dell’oggettività dei fatti, che ricordava con estrema lucidità a chi cercava di incastrarlo per vendicarsi di questa sua ostinata ricerca della sfida.

 

Mourinho aveva capito che all’Inter avrebbe vinto in una sola maniera: agitando le acque. Da uomo intelligente, si era convinto che per farlo avrebbe avuto bisogno di conoscere alla perfezione la nostra lingua, con annesse le sfumature dialettali. E così aprì bocca alla prima uscita e ascoltammo musica. Sapeva perfettamente l’italiano, lo aveva studiato nei pochi mesi intercorsi dal primo contatto con Moratti fino al suo avvento a Milano. Viene da pensare oggi a un suo compaesano come Cristiano Ronaldo che ancora, dopo tre anni, non sa nemmeno dire buonasera, viaggiando nell’iperspazio di se stesso, per nulla interessato al nostro mondo, al paese che gli regala tanti soldi e tanta gloria.

Sono passati undici anni dal giorno in cui Mourinho è andato via dall’Italia. Ha vinto dappertutto, è stato osannato e offeso, amato e odiato, ha, come sempre, diviso. Creando un mondo diverso, parallelo, il mondo di Josè Mourinho, dove le regole si impongono per essere costantemente disattese.

Undici anni, calcisticamente, sono come parlare dell’età di un gatto, a quell’età già vecchio. Eppure eccolo qua, Josè, sopravvissuto all’usura e al mutamento, più bianco ma ancora giovane nello sguardo. E’ diverso, sì lo è. Proprio come un gatto, osserva, scruta l’infinito. Meno parole, più spazio ai silenzi. Ha capito in che maniera, nel frattempo, il mondo sia cambiato. E’ un mondo dove tutti parlano mentre prima, ai tempi nerazzurri, parlava solo lui, che come lui non parlava nessuno. Quindi meglio restare fermi, che nella frenesia che ci circonda è il modo più efficace per sorprendere. Esattamente come un gatto a cui il tempo abbia ingrigito il pelo, limato qualche artiglio, lasciandogli però intatta l’anima.

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