Il foglio sportivo

La prima volta della panchina

Alberto Facchinetti

Da quando nel 1951 la Lega Calcio concesse una panca per i due allenatori, molte cose sono cambiate. Settant'anni dopo, alcuni allenatori guadagnano come o più dei migliori calciatori che allenano e spesso su quella panchina, nei novanta minuti di gioco, nemmeno si siedono più

Il mister, un dirigente, il massaggiatore e il dottore entrano in campo a pochi minuti dall’inizio della partita. Appena fuori dal terreno di gioco trovano per la prima volta una panchina su cui sedersi e seguire così più comodamente la gara di campionato. È domenica 2 dicembre 1951, undicesima giornata, quando nella Serie A italiana arriva questa novità. La Lega Calcio pochi giorni prima aveva imposto alle società di “installare ai bordi del campo non più di due panchine (o eventualmente una) sulle quali debbono prendere posto gli allenatori, gli accompagnatori ufficiali, i massaggiatori e i medici sportivi i quali non potranno entrare in campo se non chiamati dall’arbitro o quantomeno con il consenso dello stesso”. A nessun calciatore era concesso l’utilizzo della panca perché le riserve sono ancora di là da venire, visto che il secondo portiere poté essere portato, appunto in panchina e pronto a subentrare in caso di necessità, soltanto nel 1965. Per come aveva deliberato l’organo competente si poteva condividere la panchina con i corrispettivi della squadra avversaria.


I club infatti non erano obbligati a dotare il proprio stadio di due panchine, cioè una per squadra. Successe quindi che nello Stadio Comunale di Bologna (oggi Renato Dall’Ara) lo staff del Bologna e quello della Sampdoria seguirono la gara l’uno accanto all’altro. L’allenatore rossoblù Giuseppe Galluzzi, l’anno prima proprio alla guida dei blucerchiati, e Alfredo Foni, che sarà direttore tecnico del Bologna anni dopo, si siederanno alle estremità della panca a impartire da quelle posizioni ordini ai propri ragazzi. Chissà se proprio per questa situazione promiscua le due formazioni alla fine si annulleranno, pareggiando zero a zero. In quella domenica di campionato esordiva come allenatore della Juventus l’ungherese György Sárosi, che sostituì dall’undicesima giornata la coppia Bertolini-Rosetta e alla fine vinse lo scudetto con sette punti di vantaggio sul Milan. Non riuscì invece a vedere dal vivo questa novità del calcio italiano Béla Guttmann, nato a Budepest pure lui. Guttmann infatti era stato esonerato dalla Triestina tre giorni dopo la sconfitta in casa col Torino e gli alabardati erano stati affidati a Mario Perazzolo, non l’unico ex campione del mondo in panchina quel giorno perché ci sono anche Eraldo Monzeglio (Napoli), Aldo Olivieri (Inter) e Carlo Ceresoli (Atalanta).


La panchina è protagonista in una delle tante belle pagine del libro, nostalgico il giusto, di Nicola Calzaretta. In “Le cose perdute del calcio. Un viaggio nel tempo, un gioco della memoria. Per vedere l’effetto che fa” (prefazione di Cristiano Militello e illustrazioni di Michele Targonato per NFC Edizioni) il giornalista e scrittore toscano tira fuori dal baule dei ricordi tanti aneddoti, e non solo sulla categoria allenatori.


Per restare in tema c’è un intero capitolo dedicato al tabacco. “Mister e sigarette – scrive Calzaretta – e il ricordo vola alla fine della partita scudetto Roma-Juventus 1-2 del 20 maggio 1973. Le immagini mostrano l’abbraccio di gioia a fine gara tra i giocatori bianconeri e il loro allenatore che, si è tolto la cicca di bocca, ma la tiene tra le dita. Ancora accesa e fumante. Roba da ustione immediata per chi fosse incappato nella cenere ardente. Il mister in questione era Cestmir Vicpalek, lo zio di Zdenek Zeman, cintura nera di fumo attivo in panchina (e non solo). Un uomo, decine di pacchetti alla settimana. Il tabacco come fonte primaria di vita: un ossimoro. E poi il sigaro vincente di Marcello Lippi, ct dell’ultimo mondiale azzurro nel 2006. Le bionde per Hector Cuper, hombre vertical, ma anche e parecchio hombre fumador. Per finire con Maurizio Sarri, il filtro tra i denti, una simbiosi perfetta con la sigaretta, il pacchetto come coperta di Linus da portarsi comunque in panchina, pur sapendo che potrà solo guardarlo”.


Trovata un po’ di comodità sul finire del 1951 all’allenatore – chiamato già da un po’ di tempo “mister” per via o per "colpa” dell’inglese William Garbutt, arrivato in Italia per guidare il Genoa nel 1912 – viene riconosciuto qualcosa in più (anche a livello economico) nel decennio successivo con Helenio Herrera, conquistato da Angelo Moratti a suon di pesetas. Il Mago sosteneva che prima di lui gli allenatori portassero solo la borsa delle maglie per poi distribuirle nello spogliatoio agli undici giocatori. Anche con Arrigo Sacchi, quando si iniziò a mettere in dubbio l’assioma che un bravo allenatore fosse semplicemente quello che non facesse danni, gli allenatori non venivano ancora pagati a livello dei top player che allenavano. Fu sul finire del millennio che qualcosa cambiò. Ci pensò ancora l’Inter e quel contratto che il presidente nerazzurro Massimo Moratti fece a Marcello Lippi per la sua nuova esperienza. Oggi esiste un gruppetto di allenatori che guadagna come o più dei migliori calciatori che allenano. E spesso nei novanta minuti di gioco nemmeno si siedono un minuto su quella panchina, certamente più lussuosa e comoda di quella inaugurata settant’anni anni fa.

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