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Giallo, collettivo y final. L'ultima di Valentino Rossi a Misano apre l'epoca della nostalgia

Giovanni Battistuzzi

Il campione di Tavullia domenica ha corso la sua ultima gara in Italia. Gliene rimangono due per chiudere il suo giro di campo a puntate. Quel che è certo è che dopo Valencia, il motociclismo ritornerà a sembrare quello che era stato prima dell'arrivo del Dottore

Algarve e Valencia. Poi basta. O forse no, forse basta così già da adesso. "È stato talmente lungo e bello, che forse agli ultimi due GP dell'anno non ci vado". Una battuta, ma anche l'evidenza che il tempo degli addii è davvero arrivato. E ritrovarsi davanti ai suoi tifosi, nel circuito che dista poche decine di chilometri da casa sua, glielo ho spiattellato in faccia con la violenza tipica degli atti finali.

Valentino Rossi sa che questa volta non sarà un arrivederci. Lo aveva già chiaro in testa da quando aveva annunciato il ritiro, ma si sa, un conto sono le parole, un altro è vedere, sentire, odorare ciò che si è detto.

Misano domenica si è tinto di giallo per l'ultima volta in sua presenza. Potrebbe rifarlo il prossimo anno e per altri ancora, ma non sarebbe più la stessa cosa. Diventerebbe un tributo alla nostalgia, non più al campione di Tavullia. Non è stucchevole, nello sport è normale che il presente si porti indietro il suo carico di passato, funziona così ovunque e per ogni disciplina.

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Dopo una giornata del genere, dopo un tributo del genere, tribune intere tinte giallo-Valentino, verrebbe ai più l'idea di fermarsi lì e più andare avanti. Soprattutto se andare avanti vuol dire galleggiare a decine di secondi dal podio e lottare per piazzamenti a cui non era abituato, ma a cui si è fatto, suo malgrado, l'abitudine.

Valentino però sa che non può fermarsi a Misano. Che ci sono due stazioni ancora alle quali scendere, ringraziare e prendersi i ringraziamenti. Il suo è un ultimo giro di campo a puntate. Le due ultime esibizioni davanti al suo pubblico mondiale, le ultime due forme di ribellione all'età e alla leva del freno che si tira prima di un tempo, appesantendo pure la manetta.

 

Due gare e Valentino Rossi potrebbe entrare in una riedizione di Marmellata #25 di Cesare Cremonini, messo lì tra Baggio e Senna: "Da quando Rossi non corre più, non è più domenica, non si dimentica".

 

Poi, dopo Valencia, tutto tornerà come è sempre stato prima che Valentino Rossi arrivasse a scompigliare il mondo delle moto. Il motomondiale tornerà un evento per chi tiene al motociclismo, che magari tifa uno o un altro pilota, ma ama soprattutto le corse in motocicletta. Si libererà (per la gioia dei duri e puri delle due ruote) di quella fetta, piuttosto consistente soprattutto anni fa, di quelli che venivano considerati una sorta di parvenu delle sgasate, illuminati sulla via del paddock dalla sbornia valentiniana. Perché quello che il numero 46 è riuscito a fare in questi anni, è stato trasformare una nicchia motoristica in un avvenimento pop. Lo notò, nel 1999, il tre volte campione del mondo della 500 Kenny Roberts: "Mai visto tanta gente alle gare che non sapesse distinguere un pistone da un carburatore. Fa un certo effetto passeggiare nei circuiti e sentir parlare di qualcosa di diverso di marmitte e carene". 

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Il moto ciclismo lo sa. Valentino pure ne è consapevole: "Ci sono un sacco di giovani talenti italiani: bisogna continuare a seguire le gare", ha detto ieri, quasi a sottolineare quello che tutti sanno e che nessuno vuole ammettere: con il suo ritiro si chiude un'epoca e quello che lui ha fatto per la MotoGP, nel bene (per incremento di interesse) e nel male (secondo i duri e puri della moto), nessuno è in grado di farlo.

Valentino Rossi non lascia eredi. Misano domenica l'ha reso palese.

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