(foto EPA)

Il Foglio sportivo - That win the best

La Juve esce dalla Champions per salvare il pianeta

Jack O'Malley

Il calcio è un pretesto per combattere il climate change. La maglia di Thorsby e le pecore di CR7

Nella sempre più stucchevole diatriba su chi sia il goat tra gli attempati Messi e Cristiano Ronaldo, per ora a vincere sembra siano le sheeps. Stando a quanto scritto dal Sun, dopo una sola settimana a Manchester l’attaccante portoghese avrebbe già cambiato casa perché disturbato di notte dal belare di pecore probabilmente impegnate in rave party nel giardino di casa sua. Se l’ha scritta il Sun molto probabilmente non è vera, anche se in Italia è stata ripresa da chiunque e spacciata come verissima. Speriamo che qualche associazione animalista non si offenda, si potrà comunque rispondere loro che le flatulenze del bestiame producono gas serra che provocano il riscaldamento globale che causa il climate change che genera la climate emergency che porta al razzismo che produce il sessismo che sfocia nell’omofobia.

Lo sa bene il centrocampista norvegese della Sampdoria Morten Thorsby. Il biondo blucerchiato, forse invidioso della svedese Greta Thunberg, si è fatto paladino della lotta al clima che cambia sul campo da calcio. Dopo i calciatori che scelgono la maglia 33 in onore di Gesù e quelli che scelgono la 69 in onore del Kamasù, ecco la nuova frontiera dell’impegno bello e sostenibile: Thorsby ha cambiato il numero della sua, passando dal 18 al 2 di quest’anno “per ricordare non si può andare sopra i due gradi stabiliti dalla convenzione sul clima di Parigi. Siamo in una crisi climatica, mando un messaggio importante: io mi espongo per l’ambiente e volevo fare questo gesto simbolico per far crescere la consapevolezza. È stato bello fare il primo gol con il numero 2, speriamo di continuare così”. Morten ha detto di avere anche preparato un’esultanza a tema che farà vedere al prossimo gol, sensibilizzando gli ultras che in curva esulteranno sottovoce per non produrre troppa CO2. Cosa farà? Si toglierà la maglia fingendosi accaldato? Mimerà l’orso bianco che non trova più il suo iceberg di fiducia? Simulerà l’attraversamento dell’oceano sulla barca di Pierre Casiraghi? Mentre i sampdoriani riflettono sull’ambiente guardando la distinta della loro squadra del cuore, a Torino gli juventini – avendo finito i figli di coppie gay dei propri calciatori da annunciare sui social – hanno intrapreso un “progetto ambizioso, volto alla valutazione e all’analisi delle quantità di emissioni di gas serra attraverso il calcolo della carbon footprint”. Da tempo il calcio non è più uno sport, ma un pretesto per portare avanti politiche che facciano sentire con la coscienza a posto, roba che mi viene voglia di passare al pub, farmi servire la mia bionda e fuggire in Vietnam. La Juventus, ma come lei diversi club europei, è molto impegnata a combattere i cambiamenti climatici e a “rafforzare il proprio impegno a ridurre gli impatti negativi legati al Climate Change e favorire comportamenti e azioni positive anche fuori dal campo di gioco”. In sintesi, il nuovo progetto consiste nel quantificare le fonti di emissioni relative agli spostamenti delle squadre (prime squadre e settore giovanile) e alla mobilità dei tifosi per ogni partita in casa e porvi rimedio. Più partite ci sono, più impatto sull’ambiente avranno gli spostamenti della squadra e dei tifosi. Ecco spiegate le eliminazioni dalla Champions League degli ultimi anni, erano sacrifici fatti per salvare il pianeta.

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