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Di Francesco e Semplici già esonerati. Com'è che è sempre colpa degli allenatori?

Giorgio Burreddu

Presidenti contro tecnici: una specie di querelle che va avanti dalla notte dei tempi. Non ci sono né antichi né moderni, né sarriani né catenacciari, solo ossessionati contro pazienti. Intanto Verona e Cagliari cambiano già guida in panchina

La squadra non fa gioco: “Esoneriamo l’allenatore!”. La punta non segna: “Esoneriamo!”. La classifica è un disastro: “Esoneriamo!”. Ecco l’ultimo ritrovato in fatto di problem solving: l’esonero. La Serie A ne riscopre l’antica semplicità alla terza giornata, in un qualunque martedì di settembre. Via Eusebio Di Francesco dal Verona e Leonardo Semplici dal Cagliari (e tutti e due in un sol giorno). Oooh, ma sì: il caro, sano, vecchio, rassicurante colpo di spugna. Una decisione dal potere taumaturgico. Con la sola imposizione della società. In Serie B l’usanza era già stata riproposta dal Pordenone: dopo appena due giornate era stato cacciato Massimo Paci, l’anno prima astro emergente, dopo due gare della nuova stagione chissà come troppo acerbo per certe sfide.

Alla pratica va poi sommata la forma. Un comunicato, un tweet, un post. Magari una conferenza stampa. Quasi sempre con la mano sul petto e la croce nel cuore: “Siamo profondamente amareggiati”, “Provvedimento inevitabile”, “La società augura all’allenatore e a tutto il suo staff i migliori successi”. Però non qui. Dieci anni fa gli esoneri erano stati 18, praticamente una strage. La media si era abbassata (stabilizzata) nel corso del tempo, ma nella stagione 19/20 si viaggiava ancora a un allenatore sostituito quasi ogni due giornate. Nessuno, nei più importanti campionati europei, ha mai buttato via tanto. L’anno scorso, poi, il disastro economico nel mondo del calcio per colpa del Covid (e degli sprechi) l’abbiamo misurato anche così, con i cambi in panchina: 7 in tutto. 

 

Alcuni hanno fatto dell’esonero un vanto, quasi un marchio di fabbrica. Altri l’hanno reso un attimo di egocentrismo sfolgorante. Maurizio Zamparini in oltre trent’anni di onorato servizio da patròn è arrivato a collezionare 51 allenatori. Ma Tommaso Giulini è sulla buona strada: quasi un esonero a stagione dal 2014 a oggi. Se non altro con l’ardire di essere cristallino: "Si deve costruire una mentalità forte. Bisogna fare i punti, essere ossessionati dal risultato", ha detto il numero uno del Cagliari poche ore dopo la sconfitta contro il Genoa. Ossessione del risultato vs performance e bel gioco. È questa la sfida. Di fatto: presidenti contro allenatori. Una specie di querelle che va avanti dalla notte dei tempi. Non ci sono né antichi né moderni, né sarriani né catenacciari, solo ossessionati contro pazienti. Durò 23 giorni appena Gennaro Gattuso sulla panchina della Fiorentina. Dopo una sola giornata da Cagliari venne mandato via Attilio Tesser (stagione 2005/2006), e lo stesso capitò a Stefano Colantuono a Palermo (2008/2009). Ben 67 giorni durò l’avventura di Gigi Delneri al Porto, licenziato (si dice) per dissapori con alcuni veterani dello spogliatoio. Record a Leroy Rosenior, anno dis-grazia 2007. Per la storia è durato dieci minuti sulla panchina del Torquay United, quarta divisione inglese. Lo stesso giorno il presidente vendette la società e lui fu esonerato dal nuovo proprietario.

Oltre il folklore, riluce una domanda: chi ha ragione, l’esonerato o l’esonerante? La preda o il presidente? “Esonerare serve?” si domandavano saggiamente due anni fa a Calcio&Finanza.

 

La statistica dimostrava che “solo in cinque occasioni su tredici il successore ha fatto peggio dell’allenatore esonerato”. Ma ogni stagione è a sé, come ogni storia. E allora: Di Francesco non vince da 19 partite (record in A), una continuità che dimostra (anche) una qualche responsabilità personale. A cui, però, bisogna aggiungere: le cessioni di Zaccagni e Silvestri, un mercato non completo, un bel gioco mai davvero proficuo in queste tre giornate. Diverso è per Semplici: una salvezza conquistata l’anno scorso all’ultimo respiro e un’estate all’insegna dell’attesa. L’allenatore ha visto andare via: Nainggolan, Rugani, Sottil, Simeone. Insomma, va bene fare con quello che si ha in casa, ma per vincere ci vogliono gli ingredienti giusti. E quelli bisogna comprarli. Ma si fa prima a trovare un colpevole. Quello di sempre.

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