Foto Alfredo Falcone - LaPresse

Dopo l'argento di Daniele Garozzo la scherma italiana deve giocare di squadra

Francesco Gottardi

Il medagliere azzurro tradito dallo sport che più aveva dato garanzie nella storia olimpica dell'Italia. Ora aspettiamo gli appuntamenti a squadre

Sliding doors. 2016: finale olimpica, 15-11, un fantastico Daniele Garozzo sgancia la stoccata dell’oro con sfrenata esultanza inclusa sulla pedana di Rio. 2021: finale olimpica, 15-11, un fantastico Daniele Garozzo si arrende tenendosi la coscia destra che per tutte le gare di fioretto individuale non gli ha dato tregua. È l’immagine della scherma italiana finora a Tokyo: un po’ amara anche quando non si poteva chiedere di più. Deludente per il resto. Due argenti – oltre a Garozzo anche Luigi Samele, nella sciabola –, nessuno da parte delle ragazze che nel fioretto individuale rimangono a secco di medaglie per la prima volta dal 1988. Sia pure per un nulla: il bronzo di Alice Volpi è sfumato all’ultima stoccata. Di legno pure Andrea Santarelli nella spada.

 

Legge di Murphy, si dirà. Oppure flop clamoroso. In realtà è tutto più complicato e allo stesso tempo meno drastico di così. Dice bene Valentina Vezzali, nella leggenda delle Olimpiadi e oggi in Giappone da sottosegretario allo sport: “Vincere non è mai scontato. Possiamo ancora dire la nostra, ma noi del fioretto femminile abbiamo abituato troppo bene”. A Londra 2012 il podio era tutto azzurro: apice irripetibile. Certo è che la scherma è sempre stata una fucina di medaglie senza pari: 127 in totale, con 49 ori. Nessuno meglio dell’Italia. Però di record non si campa, il talento non manca ma c’è un profondo ricambio generazionale in corso ben oltre il fioretto. Nel frattempo gli avversari – Russia, Ungheria, Corea del Sud – crescono. Ed è pur sempre questione di adrenalina e dettagli, che a volte fanno sorridere a volte no – un nanosecondo fra le luci illuminate da un doppio touché: altro che calcio, l’apoteosi del Var è qui in pedana.

 

 

Se poi proprio alla storia e ai numeri vogliamo aggrapparci, questi andrebbero studiati fino in fondo. E dicono che l’Italia ha ceduto il testimone della nazionale da battere già da qualche anno: in testa al medagliere dei Mondiali 2017 e 2018, crollo in nona posizione – senza ori e con un solo argento – nel giro di pochi mesi, a Budapest 2019. Inoltre, secondo il ranking aggiornato della Federazione internazionale di scherma (Fie), l’unica italiana sul podio fra le tre specialità è la due volte campionessa olimpica Elisa Di Francisca. Che però a maggio è diventata mamma e a Tokyo non c’è. Va appena meglio agli uomini, con Alessio Foconi numero uno nel fioretto maschile: oggi però è stato spazzato via 15-3 agli ottavi da Cheung Ka Long, medaglia oro dopo la vittoria contro Daniele Garozzo. In sostanza: dai tornei individuali era lecito aspettarsi qualcosa in più. Ma non chiamiamola sorpresa.

 

Anche perché è ancora lunga. E il bello potrebbe arrivare ora. Sempre ranking alla mano, gli azzurri hanno tutte le carte in regola per rifarsi negli appuntamenti di squadra: per quattro armi su sei, tra maschile e femminile, il team Italia figura tra i primi tre al mondo. E per la prima volta il programma olimpico nella scherma prevede 12 eventi anziché 10, facendo saltare il principio dell’alternanza fra le tre specialità nelle due categorie. Ergo, due tornei in più di squadra, – stanotte al via con la spada femminile – dove noi saremo sempre presenti. Rispetto alla griglia degli individuali – dai trentaduesimi in poi –, la formula qui inizia dagli ottavi o dai quarti di finale: superato il primo scoglio si lotta già per il podio.

 

Uno studio di Nielsen Gracenote, società americana specializzata, aveva previsto sei medaglie in totale per gli azzurri in questo sport. Difficile ormai rispettare il pronostico. Ma si può raddrizzare il tiro, senza indorare la pillola: “C’è un problema in tutta la scherma italiana e non sarà facile risolverlo”, ha dichiarato da casa Di Francisca dopo i ko multipli nel fioretto femminile. Per riuscirci, fra gli addetti ai lavori, ci vorrà tempo. Qualche sussulto di gruppo in ottica medagliere invece basterà ad accontentare il grande pubblico. Quello si mette en guarde ogni quattro anni. Anche cinque, stavolta.

 

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