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Il Foglio sportivo

La meccanica celeste di Fausto Coppi

Giovanni Battistuzzi

Solo su di una bicicletta il suo corpo assumeva grazia e armonia. Le trasformazioni del Campionissimo non sono però solo estetiche. "Non ci fosse stato la bici c’avrebbe messo molti più anni per diventare quella che è diventata", ci dice un ex meccanico della Bianchi a 61 anni dalla morte

Era il marzo del 1960 quando Isaac Asimov, in una conferenza sul rapporto tra uomo e tecnologia disse che “la macchina e l’uomo sono due realtà distinte. Le prime derivano dall’ingegno umano, senza questo non esisterebbero. Eppure il miglioramento dell’uomo non può che passare dalle prime, perché sono queste che possono ridurne le imperfezioni ed esaltarne le potenzialità. L’uomo del futuro sarà la perfetta continuazione di una macchina”.

 

L’uomo del futuro a cui si riferiva Asimov era diventato passato da qualche mese, il 2 gennaio del 1960.

 

Solo su di una bicicletta quel corpo dalle anche larghe, dalle gambe lunghe e dal busto corto e sporgente assumeva grazia e armonia. Solo mentre faceva ruotare i pedali Fausto Coppi conquistava la “magnificenza della perfezione”, scrisse il poeta Alfonso Gatto, l’eleganza di un ballerino classico, il completamento della sua figura. Perché il fisico di Fausto Coppi altro non era che la perfetta continuazione della bicicletta. In sella la sua figura sghemba si armonizzava, la linea spezzettata del suo corpo si faceva circolare, tutto trovava una sua dimensione determinando la perfetta unione tra uomo e macchina. 

  

Per Bruno Raschi “solo Anquetil in bicicletta è paragonabile a Fausto Coppi. Solo il francese nel pedalare riusciva a pareggiare, e forse anche a superare, la grazia del Campionissimo”, eppure c’è una differenza sostanziale tra i due: Anquetil giù da una bicicletta manteneva la sua perfezione armonica, Coppi invece bilanciava la sua meccanica imperfetta, “fatta di leve sbilanciate”, sottolineò Gatto, sulla meccanica “perfettamente perfezionata della macchina a pedali”, scrisse Raschi.

  

Coppi la sua meccanica la osservava quotidianamente, delle sue sproporzioni ironizzò in una lettera all’amico e impresario ciclistico André Mouton: “Solo ieri mi sono visto pedalare in un filmato al cinematografo e quasi non mi riconoscevo. Che strana cosa che si è visti dal di fuori. Che strana cosa osservare che le mie gambe lunghe non sembrano poi così lunghe mentre muovono i pedali”.

  

Coppi la sua meccanica non la conosceva. La biomeccanica sarebbe diventata presenza nei discorsi dei corridori solo decenni e decenni dopo. Eppure di meccanica Coppi era un fine conoscitore: senza di lui la bicicletta non sarebbe stata la stessa, o almeno ci sarebbe voluto più tempo perché si evolvesse nel modo nel quale si è evoluta.

 

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Ennio Peruch aveva ventidue anni quando nel 1952 venne assunto dalla Bianchi su suggerimento di Pinella De Grandi, il più grande meccanico dell’epoca, colui che l’ex patron del Tour de France Jacques Goddet soprannominò “Pinza d’oro”. Peruch ricorda come fosse ieri quel 1952. “Mancavano pochi giorni al Giro d’Italia e Pinella arrivò arrabbiato nero in fabbrica”, racconta al Foglio sportivo. “Urlava furente: 'Otto millimetri, otto millimetri, no uno, ma otto millimetri’. Tutti ci guardavamo stupiti. Nessuno riusciva a capire. Lui andò alla dima e disse al dimaista che serviva un telaio nuovo per Coppi, perché quello che gli avevano fatto era più corto di otto millimetri e così si rischiava di mandare a monte un inverno di lavoro. Dopo il lavoro, in osteria, ebbi modo di chiacchierare un po’ con Pinella: mi spiegò che ogni muscolo di Coppi sentiva la bici. E che per lui otto millimetri erano un’enormità”.

  

Non ci fosse stato Coppi “la Bianchi non sarebbe stata la Bianchi. E neppure Campagnolo sarebbe stato Campagnolo. E non per blasone sia chiaro, ma per meccanica. Fu lui che volle allungare il telaio, che impose la modifica della pipa che regge il manubrio, che fece cambiare l’angolatura del della forcella, che convinse tutti che qualche centinaio di grammi in meno in un telaio cambiava poco o nulla, ma che qualche grammo in meno in una ruota cambiava tutto, e che spinse Campagnolo a modificare il cambio, semplificandolo, evitando così il doppio movimento per spostare la catena da un pignone all'altro (ndr, come sottolinea anche Paolo Bellino dell'AdnKronos). Pinella mi ha sempre detto che se Coppi non ci fosse stato la bicicletta da corsa c’avrebbe messo molti più anni per diventare quella che è diventata. Io le biciclette le ho costruite per trent’anni e una cosa sola posso dire: aveva ragione”.

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