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il foglio sportivo

Tutte le volte che il campionato non è finito

Leo Lombardi

Il precedente italiano del 1915, quello inglese del ’39 e l’invasione che mandò Puskas al Real

C’è un sottile filo rosso che collega il calcio del 2020 al 1915, primo e unico precedente in Italia di un campionato sospeso. Lo dipana la Lazio, anche allora fermata da un evento esterno quando il possibile successo pareva a portata di mano: ultimo argine allo strapotere del calcio del nord, allora; ultima antagonista al dominio Juventus, oggi. Non a caso Claudio Lotito ha lottato a lungo prima di arrendersi all’evidenza di una pandemia che ha costretto tutti allo stop, pallone compreso.
Era un altro mondo, di regni e di imperi. Era anche un altro pallone: genuino, disorganizzato e giovane, nato l’8 maggio 1898 con il primo titolo del Genoa. Resta una questione settentrionale fino al 1912-13, stagione dell’allargamento della Prima Divisione al centrosud, con una consistenza confusa e disomogenea. Confusa perché dettano legge i piccoli club, che nel 1914-15 bloccano le retrocessioni per un torneo-monstre di 52 squadre: ci sono perfino i ticinesi del Chiasso. Disomogenea perché il centrosud è in ritardo, come raccontano le prime due finali. La Lazio nel 1913 perde 6-0 con la Pro Vercelli e nel 1914 è travolta dal Casale in due gare con un complessivo 9-0. Si parte il 5 ottobre 1914, con l’Europa già in guerra, e si arriva a domenica 23 maggio. La Lazio attende lo spareggio Internazionale Napoli-Naples per avere l’avversaria nella finale centrosud. Al nord è in programma l’ultima giornata del girone di qualificazione, in testa c’è il Genoa, cui basta un pareggio con il Torino per accedere all’atto decisivo. Gli arbitri, però, non fischiano l’inizio, e leggono il comunicato di sospensione del campionato. L’Italia ha dichiarato guerra all’Austria-Ungheria: scatta la mobilitazione generale, basta pallone. I vertici sono convinti, come tanti, che sarà un evento vittorioso – e di breve durata – stabilendo che si riprenda al termine del conflitto. Non capiterà mai, come mai sarà assegnato il titolo sul campo, in assenza di una finale Genoa-Lazio. Ma nell’albo d’oro della Figc, alla casella 1915, compare il nome rossoblù. Perduti eventuali documenti ufficiali, molte fonti la considerano una scelta a tavolino di dirigenti convinti della superiorità del calcio settentrionale: basti pensare che si deve attendere il 22 marzo 1925 per il primo azzurro del centrosud, il laziale Fulvio Bernardini. Una decisione contestata dai sostenitori della Lazio, che da tempo lottano per un primo posto almeno ex aequo. Una commissione federale è all’opera, i tempi restano ignoti.

 

Quello italiano non è il solo caso di campionato interrotto, ma è l’unico con un vincitore. Non lo è il Blackpool, in testa dopo tre giornate nel 1939 quando l’Inghilterra chiude per il Secondo conflitto mondiale. Non lo sono le due Dinamo (Mosca e Tbilisi), prime a braccetto quando si ferma l’Urss nel giugno 1941. E non c’è in Colombia, quando il campionato è sospeso dopo l’assassinio il 15 novembre 1989 dell’arbitro Alvaro Ortega, decretato da Pablo Escobar, signore del cartello di Medellin. La colpa? Aver annullato a due minuti dalla fine il gol del 3-3 all’Independiente Medellin in casa dell’America di Cali. Sudamerica in cui il calcio era stato bloccato in Uruguay da marzo 1948 a maggio 1949 per lo sciopero dei giocatori contro il trattamento dei club. Il leader della “huelga” è Obdulio Varela, che tentano di corrompere con una nuova cucina: il capitano della Nazionale non la fa entrare in casa. Nel 1950 guida i suoi al Mondiale vinto in Brasile, a quel “Maracanazo” che getta nello sconforto una nazione intera. Una coppa che non riesce a sollevare quattro dopo l’Ungheria, una delle più spettacolari Nazionali mai viste: l’Aranycsapat, la “squadra d’oro”. Perde a sorpresa la finale di Berna con la Germania Ovest, prepara la rivincita per il 1958. Ma il 4 novembre 1956 l’invasione sovietica spezza la rivoluzione ungherese sorprendendo la Honved Budapest – spina dorsale della Nazionale – in Spagna, per la Coppa Campioni con l’Athletic Bilbao. Alcuni giocatori torneranno a casa, dopo un lungo esilio fatto di amichevoli. Zoltan Czibor e Sandor Kocsis vanno al Barcellona, mentre Ferenc Puskas, il più grande di tutti, sceglie il Real Madrid. E dal 1958 al 1966 costruirà un altro mito.

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