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il foglio sportivo – il ritratto di bonanza

L'attesa ritrovata

Alessandro Bonan

Il calcio ha scelto di seguire il flusso dello smarrimento, perdendo lungo questo cammino tortuoso e zoppo la clamorosa occasione di rappresentare un esempio da seguire

L’attesa è un momento importante della nostra vita, come i poeti ci hanno spesso raccontato in versi. L’attesa è emozione, alta aspettativa, vibrazione dell’anima. L’attesa non tradisce mai, semmai si perde in una dimensione esagerata, allungandosi così tanto da tradursi in nulla di fatto. L’attesa è una grande illusione si, ma in quanto tale dispensa felicità nell’attimo in cui si consuma; il resto è cronaca dei fatti successivi. Ma nonostante questo, siamo stati allenati a muoverci, in un attivismo cieco, sovente senza senso. Il diffondersi del virus, una delle conseguenze di questo movimento ottuso, ci ha bruscamente riportato indietro nel tempo, negli anni solamente ascoltati dal racconto dei nostri genitori. Un passato nel quale tutto si muoveva lentamente e la contemplazione poteva addirittura rappresentare un mestiere. Il virus ci ha prima fatto male, un male fisico, scioccante, prendendoci a schiaffi con le notizie diffuse su giornali, social e in tv, e poi ci ha bloccati completamente. La paura del contagio ha annichilito ogni nostra iniziativa, rendendo qualsiasi azione non solo inutile ma dannosa. Tutti fermi in casa ad aspettare il ritorno alla normalità, in un esasperato immobilismo frutto dell’emergenza e del timore, della necessità e dell’esasperazione.

 

In questo contesto il calcio ha scelto di seguire il flusso dello smarrimento, perdendo lungo questo cammino tortuoso e zoppo la clamorosa occasione di rappresentare un esempio da seguire. Certo, non era semplice: la nostra salute, le ordinanze, il panico, la pressione mediatica, quella politica ed economica. Ma si poteva fare decisamente di più. È mancata la chiarezza, il coraggio di operare in nome del buon senso e non di interessi di parte. Non si è valutata la forza dell’attesa, contare fino a dieci, tutti insieme, dalla stessa parte con spirito collaborativo. Aspettare prima di fare qualcosa di inutile e dannoso. In queste due settimane il calcio ha scelto di chiudere, aprire, tacitare, rispondere a tono, parlare senza dire, oppure dire con l’unico obiettivo di confutare. Ha insomma fatto parecchio senza progredire, come una corsa da fermo, mentre la terra girava velocemente al contrario. È stato bello, nei pochi frangenti concessi, parlare di calcio, ad esempio di una squadra che rappresenta il contrario di un operare arruffone e inefficace. Parlare dell’Atalanta, la squadra che non attende perché attacca sempre, ma che si fa ammirare, provocando la fascinazione, la perduta contemplazione, e quindi si, l’attesa, l’unica condizione che ci resta per rimanere attivi, vivi. Siamo tornati a guardare, a leggere, a parlare, a pensare e, quando è possibile (ma quando non lo è?) ad amare. Il contagio è un rischio che vogliamo soffocare, con la scienza, il progresso, la collaborazione. E, perché no, con l’attesa. In fondo, non è detto che tutto il male di questi giorni non ci faccia, un domani, anche del bene.

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