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La Cina del calcio ai tempi del coronavirus

Francesco Caremani

Superare l'emergenza e continuare a lavorare per diventare una potenza mondiale del pallone. Oltre la Chinese Super League c'è un paese che stenta a diventare competitivo, ma continua a investire. Parla Ciprian-Cezar Tudorascu

Il calcio cinese è stretto tra un'emergenza, il coronavirus, e un obiettivo di lungo respiro, diventare una potenza mondiale del pallone, obiettivo che appare sempre più distante nel tempo, anche se Xi Jinping ha puntato come data simbolo il 2050, sperando di organizzare prima la fase finale di un Mondiale.

  

Ciprian-Cezar Tudorascu, originario della Romania, fino a un mese fa era direttore dell’area tecnica e allenatore dell’Under 17 dello Shanghai Sh Juju Sports Football Club, dopo l'esperienza nel settore giovanile dell’Atalanta tra il 2013 e il 2017: “Purtroppo, a causa del coronavirus, molti stranieri hanno lasciato la Cina, incluso me”. Nel Paese asiatico Ciprian-Cezar ha lavorato tre anni: “Difficile dire quale sia lo stato dell’arte, perché da una parte ci sono gli investimenti e dall’altra una cultura antica difficile da cambiare. Se infatto la Chinese Super League è moderna e tesa verso il futuro, il calcio locale non lo è altrettanto. È però un mondo in continua espansione, anche se da questo punto di vista dobbiamo aspettare per capire quale sarà l’impatto dell’epidemia”.

   

Una cosa è certa: il calcio è diventato una priorità nazionale. Il governo ha investito molto nelle infrastrutture e nella formazione, lo ha reso materia obbligatoria a scuola, sia dal punto di vista teorico che pratico. E questo sin dall’asilo: “Il problema – ricorda Ciprian-Cezar – è che il potere degli stranieri è limitato e la decisione finale spetta sempre alle autorità locali. Inoltre, a scuola, nonostante gli investimenti, non hanno tanto tempo per praticarlo (lo studio delle altre materie viene prima, ndr) e in generale hanno poca fiducia nei giovani calciatori locali insieme con una scarsa preparazione degli allenatori cinesi, a parte qualche mosca bianca. In una società tradizionalista è molto difficile che uno bravo riesca a imporsi e a cambiare metodologie di allenamento e approccio mentale in un breve lasso di tempo”.

  


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Non è un caso che le nazionali giovanili continuino a ottenere risultati pessimi ogni volta che attraversano il confine, senza contare che intorno a queste ci sono dieci allenatori di varie nazionalità, ognuno col proprio metodo e ognuno con una filosofia di gioco diversa, falla evidente nel sistema decisionale delle autorità cinesi. Difetto che si riscontra nel continuo cambiamento delle regole, pensando che le cose possano mutare repentinamente, ma nel calcio c’è bisogno di tempo per creare un movimento che possa essere chiamato tale.

  

“In Cina il basket contende al calcio la qualifica di sport più popolare, quindi la narrazione che arriva all’estero è un po’ distorta (cinesi tutti calciofili, ndr), però Xi Jinping è un amante del football e la sua ambizione è creare una nazione calcisticamente forte. Il problema, almeno per il gioverno, è che questo processo non funziona come un’operazione matematica”. Ingaggiare calciatori stranieri a suon di milioni, per esempio, da una parte ha attirato l’attenzione mediatica sulla Chinese Super League ma dall’altra ha spostato il bersaglio, rinunciando così a investire su giocatori e allenatori locali, i quali avrebbero dovuto essere la priorità. “Gli investimenti all’estero – sottolinea Ciprian-Cezar – rispondono alla necessità di potere e comando di chi ha molti soldi. La strategia di marketing, però, funziona, visto che aprono il mercato cinese ai rispettivi club, cioè un mercato di un miliardo e mezzo di persone dove poter vendere magliette e merchandising vario”.

  

Nel breve periodo, per tutti questi motivi, è difficile che la Cina possa diventare una potenza calcistica mondiale, di certo è ancora lontana, per esempio, da Giappone e Corea del Sud, che sono partiti molto prima. All’orizzonte ci sono il Mondiale Under 20 che si disputerà in Indonesia nel 2021 e la Coppa d’Asia che invece sarà organizzata dalla Cina nel 2023, per la seconda volta dopo quella del 2004, in cui perse la finale (3-1) proprio contro i giapponesi. Oltretutto due eventi intercontinentali a debita distanza dall’attuale emergenza coronavirus: “Queste due manifestazioni accenderanno i riflettori sul calcio asiatico e su quello cinese in particolare, ma dovrebbero servire soprattutto a fare capire da quelle parti che ci vuole tempo per crescere e una cultura sportiva slegata da logiche politiche e tradizionaliste. Se ci riusciranno il calcio asiatico potrebbe essere quello del futuro”. Affermazione che fino a oggi non ha portato bene né a quello africano né a quello statunitense. Con la Chinese Super League che ha già rinviato le prime sei giornate e con la settima prevista tra il 17 e il 18 aprile prossimi ci sarebbe anche il tempo per riflettere attentamente sui difetti di un movimento che, comunque, incuriosisce e che continua ad avere un forte appeal economico, in patria e all’estero.

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