Rory McIlroy sul campo di golf di Royal Portush (Foto LaPresse)

L'Irlanda, l'anima e Rory McIlroy

Corrado Beldì

All'Open di golf più bello del mondo aspettando con altri duecentomila il colpo che può cambiare tutto 

Avrei potuto arrivare all’ultimo e invece sono andato a zonzo una settimana per le sei contee del nord e ovviamente anche in città, a Belfast sono mesi particolari, senti bollire i marciapiedi, le case, i muri, senti le voci che ritornano tra le patate e i formaggi del St George’s Market, gli sguardi sembrano tornati quelli di un tempo, non puoi certo essere cattolico e restare indifferente, da queste parti la Brexit non la vuole nessuno e infatti qui Nigel Farage, alle ultime europee, non ha eletto nemmeno un deputato. In Irlanda del Nord sono tempi strani, un proiettile ha preso in pieno Lyra McKee, cronista e attivista, è arrivata la rivendicazione dell’IRA, abbiamo istruito i nostri volontari su come confrontarsi col nemico e mettere in campo ogni misura necessaria. Basta un attimo perché si torni indietro ma nell’aria invece c’è l’attesa per qualcosa di speciale, un fatto che sparigli le carte, una vittoria per disinnescare la rivolta, come Bartali quando vinse quella tappa al Tour, l’impresa che tutti aspettano da più di un secolo, che l’Open Championship qui lo vinca un nordirlandese, a Royal Portrush, nella contea del Antrim, a poche miglia dalla casa natale di Bobby Sands.

  

A scanso di equivoci ho portato tutto il necessario, ascolto a palla Astral Weeks di Van Morrison mentre guido sulla Causeway Costal Route, mi aiuta a tenere la sinistra, ogni tanto mi fermo a guardare il mare e a leggere una poesia di Séamus Heaney, in borsa ho una parrucca che mi hanno regalato allo stadio di Riga, mi ero infilato in un Lettonia-Irlanda del Nord tanto per scappare a un viaggio dell’ANCE, bello andare in giro coi costruttori ma dopo due giorni è scattato il fugone. Non avevo mai bevuto così tanta stout e alla fine mi hanno messo in testa una parrucca coi riccioli verde irlandese. Finalmente ho una scusa per rimetterla, quel pomeriggio sugli spalti eravamo in cinquanta mentre oggi saremo in duecentomila e tutti carichi come molle, perché il golf da queste parti è popolare quanto il calcio al Maracanã, alle cinque del mattino gli spalti erano già pieni, sono arrivato giusto in tempo per vedere l’alba sull’oceano e in quel momento qualcuno si è messo a cantare Rooryyyyy, Roooooryyyy e allora l’onda è salita e il coro è andato avanti per un’ora ed era potentissimo sul mare e allora ho capito che l’unica opzione possibile è che Rory faccia l’impresa. Rory McIlroy, trent’anni compiuti e la faccia da ragazzino, è lui il figlio di questa terra e fa sognare come nessuno dai tempi di George Best, è cresciuto nel paesello di Holywood, si scrive con una elle sola, come il nome del sacro legno. Sono andato a vedere il monastero fuori dal villaggio, un antico baluardo cattolico, perché qui devi sapere da che parte stai e Rory sta dalla parte giusta ed è pronto a prendersi il titolo. Sul campo di Royal Portrush ha fatto un 61 quando aveva sedici anni ed è tuttora il record del campo e nessuno è mai riuscito a batterlo, nemmeno gli altri eroi locali Darren Clarke, Graeme McDowell ma certo che se tutto il mondo del golf in questi giorni è qui, il merito è di questa generazione di campioni, sei major nordirlandesi in pochi anni per un paese che ha meno abitanti della Calabria e allora qualcuno si è convinto a riportare l’Open in Irlanda del Nord, a Royal Portrush, per la seconda volta in 58 anni.

  

 

Certo, il rough compatto dello US Open o le azalee di Augusta, ma l’Open Championship per un golfista è la più bella competizione possibile, siamo nei luoghi che hanno ispirato il golf e chissà come è venuto in mente a questi uomini del Nord, di mettersi a tirar palle sui prati con un bastone di legno e di creare ostacoli profondi e di inventare un gioco in cui tutto sembra fatto per andare contro la forza di volontà, la pioggia, le raffiche, l’erba alta, perché qui per vincere non basta la traiettoria perfetta, serve saper giocare sporco, tirare colpi bassi e fendenti che bucano il vento e rimbalzano nel modo giusto e non basta essere il migliore, non siamo su un campo da tennis, qui devi saper assecondare la natura, che può essere incontrollabile e in ogni momento può distruggere i tuoi piani.

  

Rory lo sa bene perché è cresciuto da queste parti e lo so anch’io che mi aggiro per il campo e leggo in continuazione una copia consumata di Death of a Naturalist, me lo ricordo scapigliato nell’aula della Guildhall, eravamo seduti tutti in cerchio e io per terra ad ascoltare le sue ultime rime, Séamus Heaney aveva appena vinto il Nobel e noi ascoltavamo quelle parole e quelle rime come si ascolta un oracolo, dicevano che devi conoscere la natura e usare gli strumenti che hai a disposizione, per suo padre era una vecchia vanga, sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucente / per sparpagliare le patate novelle / ma io non ho vanga per seguire uomini come loro. Per Séamus era una penna, per Rory è un bastone e qui devi sempre scegliere quello giusto, i fairway sono stretti, i bunker profondissimi e devi augurarti che non tiri vento, altrimenti tirare un buon drive è quasi impossibile. Rory ha detto che ne tirerà non più di cinque su 18 buche, per il resto userà il suo fido ferro due, ficcante, preciso, certo più corto ma l’importante qui è non mettersi nei guai. Dovrà seguire le orme di Max Faulkner, quel giorno del 1951 a Royal Portrush aveva giocato come mai nella sua vita, sotto la pioggia, con la polo gialla a righe rosse orizzontali e il collo stretto, aveva una riga perfetta tenuta con la brillantina, era sopravvissuto alla guerra e sapeva che quella era la sua vera occasione, era così convinto che il sabato al Calamity Corner era finito in un fosso ma con un chip l’aveva messa in bandiera e allora una signora gli aveva allungato una cartolina e lui aveva scritto “Max Faulkner, 1951 Open Champion”, aveva ancora venti buche da giocare ma sapeva che non avrebbe perso per nessuna ragione al modo.

 

Quando Rory è arrivato alla buca uno erano le dieci e nove minuti, per un attimo c’è stato un silenzio mai sentito, palla sul tee, tre swing col ferro due, si mette in posizione, uno ultimo sguardo verso il bunker in agguato a trecento yard.... Toc! Managgia, è tutta a sinistra. Ha tirato un hook. Fuori limite. Siamo tutti sconvolti. Rory prende un’altra palla. Ancora a sinistra, nell’erba alta. Peggio di così non poteva partire. Otto alla uno. It’s a nightmare start. Il cronista della BBC di fianco a me non ha parole, eppure il coro riparte subito ed era più forte di prima, Rooooryyyyy, Roooryyyy. Mancano ancora i 72 buche ma il pubblico ha già deciso come andrà a finire e così pure il vento che si alza dal mare. Va allora, cittadino / del vento / segui la corrente. Rory dovrà battere una bella truppa di americani, c’è ovviamente Tiger che è sparito dopo il Masters ma si allena da tre mesi per provare a vincere la sua quarta Claret Jug e ci sono Bruce Koepka, Dustin Johnson e Jordan Spieth e poi c’è il nostro Chicco Molinari, il suo colpo vincente alla Ryder Cup me lo ricordo bene, è stato fenomenale l’anno scorso a Carnoustie ma un bis non sarà facile, non è proprio la sua stagione e speriamo abbia incollato i cocci di quel maledetto ultimo giro al Masters perché quando ti prende l’insicurezza nel golf è finita. Una cosa è certa, un inglese qui non può passare. Ci penseranno il vento, la pioggia e i fili d’erba, ci scommetto il mio posto da inviato del Foglio, se vince un inglese di golf non scriverò mai più, mi restano il cricket, il tiro con l’arco, il badminton, magari mi butto sul ping pong, ogni gioco ha un eroe da raccontare, ma in un altro sport dove lo trovo uno come Rory?

 

 

Rory il bambinone, Rory e le sue barzellette, Rory che butta il ferro cinque in acqua al Dubai, Rory e il verde d’Irlanda. Rory sceso dall’Olimpo. C’è un video in cui a nove anni centra il buco della lavatrice di casa, a Holywood si allenava così e allora tifare per lui è come tifare per la perfezione, per Maradona che segna un gol alla Bombonera contro il Brasile. Rory è la bellezza dello swing, è plastico, potente, naturale ma picchia più forte di chiunque altro e poi quel finish perfetto che nemmeno l’Orfeo del Canova. Quando l’ho visto sul campo ho deciso di ritirarmi per sempre, impossibile giocare a golf senza potersi avvicinare a lui, mia madre era disperata, in effetti promettevo bene e pazienza se non sono diventato un campione, mamma dai, mi dedico alla scrittura, vedrai che prima o poi vinco il Premio Strega.

 

Nell’attesa provo a raccontare queste giornate, il campo è una meraviglia e dalle buche sulla costa si vede la torre della stazione di Portrush, è in mattoni e graticcio e l’orologio segna esattamente le ventidue, è l’ora del tramonto di questa prima giornata e non manca niente, il mare è un abisso che porta verso il nord, borbotta a grandi ondate e non si ferma mai. Anche lui tifa per Rory, anche se oggi ha fatto troppi errori e lo capisco, è la tipica emozione di quando sei a un passo dalla vittoria e in effetti sono teso pure io, non so se ce la posso fare a seguirlo fino al green della diciotto, quando basta un’inezia e perdi tutto e allora domenica me ne vado in un pub a venti miglia da Portrush, è a picco sul mare e l’ultimo giro lo vedrò da lì, quando il vento / e la luce si azzuffano così che da un parte / l’oceano è pazzo di schiuma / e di bagliori, è il posto ideale per leggere altri versi di Séamus Heaney e per tifare McIlroy, qualunque cosa accada, con una serie di stout per reggere la tensione, certo Molinari potrebbe pure sorprenderci ma prima di tutto sono un gran sentimentale e il cuore dice Rory e se tutti qui si aspettano la vittoria del loro piccolo grande eroe, allora anch’io non vedo l’ora che accada e che il coro ricominci a volare sulle rocce della costa irlandese.

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