Lo stanco anonimato della Fiorentina

Non sono bastati l'esonero di Pioli e il ritorno di Montella per risollevare la Viola. In quattro partite il nuovo allenatore ha raccolto un pareggio al debutto con il Bologna e tre sconfitte consecutive

Leo Lombardi

Le separazioni, a Firenze, non sono mai banali. L'ultimo esempio con Stefano Pioli, dimessosi all'inizio di aprile perché “sono state messe in dubbio le mie capacità professionali e, soprattutto, umane”. Si pensava al solito traghettatore, e invece ecco Vincenzo Montella, uno che, a sua volta, si era lasciato malissimo nel 2015 con la Fiorentina. Licenziato per “la precisa volontà di liberarsi da un contratto legittimamente firmato meno di due anni fa per una clausola che non ritiene più nel suo interesse, ma concordata a suo tempo”. Per questo la sorpresa era stata profonda al momento dell'annuncio del nuovo tecnico, una scelta che non riguardava solamente l'immediato ma che andava oltre, con un contratto fino al 2021.

 

Una decisione presa comunque con delle ragioni, se si va al di là dei profondi screzi che erano insorti al momento dell'addio. Con Montella in panchina la Fiorentina non era tornata quella splendida del ciclo di Cesare Prandelli, quella che lottava con le big nostrane e che agli ottavi di Champions League nel 2010 veniva buttata fuori dal Bayern Monaco (poi sconfitto in finale dall'Inter) con molto onore e altrettante polemiche. Però era diventata nuovamente una squadra protagonista in Italia come in Europa: una finale di Coppa Italia persa nel 2014 con il Napoli e un approdo alle semifinali di Europa League nel 2015, con i viola eliminati dal Siviglia, poi vincitore della manifestazione. In quell'anno la squadra era addirittura arrivata fino all'ottavo posto nel ranking Uefa, salvo poi eclissarsi dopo il licenziamento del tecnico.

 

Al momento il ritorno si rivela complicato, come lo sono (quasi) sempre stati i ritorni di un allenatore in piazze dove aveva vinto qualcosa o, almeno, lasciato un ottimo ricordo. In quattro partite Montella ha raccolto un pareggio al debutto con il Bologna e poi tre sconfitte consecutive, cui aggiungere anche l'eliminazione dalla semifinale di Coppa Italia per mano dell'Atalanta. La battuta di arresto incassata domenica a Empoli tiene la Fiorentina ancora a un punto dalla salvezza aritmetica: era dal 2005 che non si vedeva i viola così in basso, quando mantennero la categoria da neopromossi con Emiliano Mondonico in panchina, battendo il Brescia all'ultima giornata. Un presente che si inserisce in una storia recente in cui, escluso il primo Montella, la Fiorentina si è infilata in una realtà fatta di anonimato, ravvivata soltanto dalla partita in casa contro la Juventus, l'unica ancora capace di risvegliare un minimo di entusiasmo. Troppo poco per convincere una piazza ormai fredda nei confronti della proprietà dei fratelli Della Valle, al comando dal 2002 ma con un legame con il territorio che appare definitivamente distaccato in una città che invece vive di passioni. Da una parte ci sono il disappunto per un investimento che, anno dopo anno, appare troppo dispendioso e per un nuovo stadio ancora di là dal concretizzarsi, dall'altra ci sono campionati al di sotto delle aspettative e il timore di perdere altri giocatori dopo averli cresciuti in casa, come si appresta a succedere per Federico Chiesa nel solco tracciato dagli addii di Federico Bernardeschi, Gianluca Mancini e Nicolò Zaniolo. A Montella il compito di fare da camera di compensazione tra le due posizioni, un compito oggi quantomai complicato.

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