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Mihajlovic, il duro tenero a Bologna

Alessandro Bonan

L'allenatore serbo torna sulla panchina del Bologna dopo il fallimento della gestione Inzaghi

La televisione lo cambia, ne amplifica i modi, ne distorce la voce, acutizza i suoi sguardi. Rende le sue parole un rivolo di sangue che scende dalla bocca. E peggio ancora sono i silenzi: ghiaccio che cristallizza l’intorno e raggela l’atmosfera. Le sue risposte schiaffeggiano la domanda e la rimandano al mittente come sputate da una cerbottana. Sinisa Mihajlovic è tutto questo quando appare, in mezzo al teleschermo, la faccia paonazza, i capelli dritti, un diavolo senza la coda. Sinisa Mihajlovic diventa la negazione di questa vivida apparenza se lo conosci da vicino, se puoi toccarlo, farti guardare negli occhi. E’ in quel momento che il ghiaccio si scioglie, la voce diaframmatica si distende, il sangue sparisce dalla vista, come se fosse un trucco carnevalesco. Quello che colpisce di lui a prescindere dal momento, dentro o fuori dalla tv, si chiama energia. Mihajlovic è capace di scatenarla intorno a sé sia in pubblico che in privato. E’ l’energia del carismatico, del capo, dell’uomo forte con i forti e debole con se stesso, com’è giusto essere per non sentirsi Dio. Mihajlovic è un serbo, spesso lo raccontano solo così, come se bastasse la provenienza, l’etnia, la discendenza, a spiegare un uomo. Ragionamento pigro, che sa di robusto pregiudizio, parente stretto della discriminazione. Del serbo contiene tutto e nulla, per quel che ne sappiamo. Lui stesso ricorda, con una certa coerenza, senza pretendere una ragione che sovente non c’è, di quella guerra che lo ha colto adulto e del suo paese: pezzo di troppi frammenti diversi tenuti insieme per circa mezzo secolo con una colla di nome Tito. Niente di più di questo, anche se il ricamo dei narratori è sempre in grado di aggiungere il mito laddove non esiste mitologia. Odia e ama alla stessa nostra maniera, con qualche accento in più, probabilmente, difficile saperlo. Da calciatore tirava forte con il sinistro, tanto da risultare il migliore sui calci piazzati. Scovava, con quella botta, traiettorie impossibili. Tiri da lontano che sarebbe appropriato chiamare traccianti se questa parola non ricordasse per davvero certe drammatiche notti illuminate di Sarajevo. Da allenatore gioca un calcio facile e complicato insieme. Facile per come organizza la difesa e il centrocampo, lasciando spesso tre davanti con il compito di ripartire negli spazi scaturiti da una squadra raccolta, complicato nella misura in cui se non ti sbatti come lui chiede, finisci per guardare gli avversari danzare nella tua metà campo senza ripartire mai. Sinisa Mihajlovic, in breve è tutto qui. Ora che è tornato per un’impresa assai difficile, giudichiamolo per come gioca, per come è, e non per come vi guarda alla tv. L’espressione da duro, spesso, nasconde tenere inclinazioni.

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