Higuaín, la febbre letale

Alessandro Bonan

Cosa resta del Pipita mentre si appresta a partire, destinazione Londra, per raggiungere il Chelsea e Sarri, il papà buono

Quello che resta del Pipita è una lacrima che scende e si secca sul viso. E’ un grido muto, la speranza disattesa di un bacio. Ciò che ci resta di lui non sono i suoi gol, i suoi colpi da campione, ma la sua febbre. Con la febbre non è sceso in campo a Gedda. Con la febbre, dopo qualche selfie in tuta rossonera, è ripartito. Destinazione Londra, il Chelsea, Sarri, il papà buono. Higuaín aveva fame e lo abbiamo sfamato, aveva sete o la abbiamo dissetato. Inizialmente ha ricambiato il gesto con belle cose, i gol di Napoli, alcuni di un fulgore irraggiungibile.

 

Poi, una notte d’estate, la sua fame si è fatta ingorda. Ha voluto più danaro e più gloria; è arrivata la Juventus. Non fu mai vero amore, perché la fame fa brutti scherzi. Allegri lo ha trattato come gli altri e il compagno Mandzukic lo ha sovrastato in personalità. Progressivamente l’argentino si è fatto piccolo, come stretto in una morsa. Davanti il gigante croato, dietro, a spingere il Dybala connazionale. Il Pipita in mezzo sempre più simile a una sogliola. E nonostante qualche affondo decisivo, il senso di una sostanziale precarietà. Come un attore senza parte, dopo la scelta di un altro protagonista, il Ronaldo che sappiamo, ha scelto di cambiare film, senza preoccuparsi di studiarne la trama.

 

Si è presentato sulla scena milanista nervoso e stanco, la barba profilata era l’unico retaggio del passato. Ha giocato a farsi prendere prima ancora che a cercare. Scappando dall’area di rigore, un tempo sua terra preferita, alla caccia di un gioco non suo. Per quanto abile nel palleggio, si è limitato a piccoli dialoghi, dentro conversazioni di gioco futili. Ha segnato pochi gol a squadre modeste, lui che ama farsi grande. Fino al momento acme: il rigore sbagliato contro la sua ex. Simile a un fidanzato mollato e risentito, si è presentato all’appuntamento sul dischetto con la faccia interdetta. Non era sicuro di doverlo battere lui, ma lo ha fatto, perché c’aveva dentro un tarlo. Come tutti gli insicuri, ha sbagliato la parte e lo ha tirato alla destra del portiere, in basso. Un rigore flaccido, un tiro inespressivo. Quella palla tornata indietro dalla respinta di Szczesny, è stata come un pugno nello stomaco. Gli è mancato il fiato, gli spalti hanno ballato il valzer. Tutto girava intorno a lui. Da quel momento ha cominciato a cadere, sempre più in basso, in un gorgo assassino. La mattina della finale di Gedda, nella immagine di gruppo non c’era. Qualcuno lo ha strappato da quella foto. Sembrava l’inizio di un giallo, era la fine di tutto. Mentre la febbre saliva fino a raggiungere le nuvole.

 

La rubrica Il ritratto di Bonanza di Alessandro Bonan è in edicola ogni weekend nel Foglio Sportivo, l'inserto del Foglio interamente dedicato allo sport

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