Tifosi del River Plate (a sinistra) e del Boca

Boca-River, lotta senza quartiere

Umberto Zapelloni

Il Superclásico è molto di più di un derby, è sfida per la supremazia attorno al Rio de la Plata La nostra Milan-Juve forse sarà più bella, ma la notte indimenticabile sarà quella di Baires

Non sarà triste y solitario, ma sarà senza dubbio final. Una partita mai vista con una Copa Libertadores in palio. Una finale mai immaginata neppure da Osvaldo Soriano o Edoardo Galeano, i poeti di quel fútbol che provoca orgasmi multipli a Lele Adani e ai suoi discepoli. Di Superclásico come River-Boca o Boca-River ne sono stati giocati 247, ma è arrivato il giorno in cui anche una partita vista e rivista può diventare un inedito. Mai xeinezes e millonarios si erano affrontati con la Libertadores in palio. Al massimo si erano odiate nella finale del campionato 1976 o per la Supercoppa nazionale. È un po’ come quando Milan-Juventus nel 2003 si travestì da finale di Champions all’Old Trafford. O come Real-Atletico che con la coppa dalle grandi orecchie in palio si sono affrontate due volte. Partite di cui sappiamo ogni cosa che, per una notte, diventano qualcosa di mai visto prima: in palio non c’è solo l’onore, la supremazia territoriale, in palio c’è tutto. Nel Superclásico, una partita ad altissimo numero di decibel, tanta sarà la bolgia in cui si giocheranno le due sfide, c’è in più tutta la pazzia con cui l’Argentina vive il calcio, la sua via di fuga da una realtà che troppo rosada non è. “Chi perde ci metterà vent’anni a riprendersi”, ha detto il presidente argentino Macri, uno che dal 1995 al 2008 è stato presidente del Boca. Come se Mattarella fosse stato presidente della Juve prima di salire al Quirinale. Inimmaginabile. Ma stiamo parlando dell’Argentina dove il fútbol è ancora più sacro che da noi e decisamente molto più loco. Macri prima delle semifinali aveva anche detto che sarebbe stata una follia una finale tra Boca e River. E follia sarà.

 

 

Perché questa è una partita che può portare alla follia già nella sua normalità, figuratevi con in palio la coppa del Sudamerica su doppia gara, andata alla Bombonera, ritorno al Monumental. La Conmebol, l’Uefa del Sud America, avrebbe volentieri anticipato la riforma che dall’anno prossimo prevede la finale in partita secca in campo neutro. Una sola notte di follia sarebbe meglio di due, come direbbe Catalano.

 

Al Monumental, nel ‘68, 71 persone persero la vita, 150 rimasero ferite, la peggior tragedia del calcio argentino

Lele Adani che grazie ai suoi racconti su Sky è diventato il cantore ufficiale del calcio sudamericano di cui conosce anche i giocatori più brocchi (ma per lui non ne esistono laggiù), è rimasto basito quando Boca e River si sono qualificate per la finale e ancora oggi fatica parlarne: “Sono letteralmente scioccato e senza parole: questo è l’evento del secolo. Sono totalmente sottomesso dinanzi alla portata di una cosa simile. Speravo non accadesse e non vedo l’ora passi presto. La verità è che da tifoso del River Plate avrei molta comprensione in caso di sconfitta del Boca e sapete perché? Perché sarà molto più grave l’oblio eterno per i vinti, rispetto alla gloria dei vincitori. Il calcio ha scelto quella zona del mondo per esprimersi sulla passione e il talento e anche la più grande rivalità della storia del calcio ha sempre trovato la naturale contrapposizione nel Superclásico di apertura e clausura nel campionato locale. Ma la finale di Copa Libertadores è qualcosa che va oltre il percepito, il compreso, l’accettato. È veramente troppo. Ogni millonarios o bostero in cuor suo non sperava o pensava di essere condannato a vivere una cosa simile. Perché si trasformerà in un dolore fisico oltre che mentale e interiore”. Gli sconfitti finiranno all’inferno e Dante potrebbe condannarli a rivedere all’infinito le immagini del trionfo avversario. Peggior penitenza non è immaginabile.

 


 

 Tifosi del Boca Juniors (foto LaPresse)


 

#Somosrivalesnoenemigos. L’hashtag lanciato per l’occasione non è difficile da interpretare. Rivali sì, nemici no. Il messaggio pubblicato dai due club sui social va nella stessa linea, in cerca di pace: “La Copa Libertadores se quesa in Argentina, festejamos”. Nel 1968 al Monumental, 71 persone persero la vita e 150 rimasero ferite, schiacciate al cancello 12, la peggior tragedia del calcio argentino, diventata anche film. Nel 2015 lo scontro diretto negli ottavi finì con una vittoria a tavolino del River dopo che i suoi giocatori erano stati aggrediti dai tifosi avversari nel tunnel della Bombonera con un paio di ordigni di gas urticante al peperoncino. Piume di gallina, chicchi di mais, cornetti di pasticceria, bambole gonfiabili. Dalle tribune è volato di tutto (ma mai un motorino). Capita l’atmosfera? Capito perché anche questa volta ai tifosi non sarà consentito andare in trasferta? Nessuno potrà impedire però che si ritrovino faccia a faccia nel barrio, spalla a spalla nei bar. Non sarà una partita ad alto rischio. Sarà molto di più. Basta vedere qualche immagine di repertorio con la polizia che deve entrare in campo con gli scudi a proteggere il giocatore che ha esultato troppo o osato baciare la maglia sotto la curva avversaria. Se Mourinho avesse fatto il suo gesto a Monumental o alla Bombonera non sarebbe uscito vivo. Lo sforzo della polizia sarà enorme, tanto che il G20 programmato a Buenos Aires dal 29 novembre ha fatto cambiare il calendario: andata questa sera (10 novembre, diretta su Dazn alle 21), ritorno il 24. In tempo per rimettere ordine e ricevere i grandi del mondo da Trump alla Merkel passando per May. È una partita che tutti vorrebbero vedere, ma che nessuno si augurava di vedere mai. È davvero troppo. Come la panna sulla cioccolata calda. O il dulce de leche a fine pasto. Un attentato alla glicemia. Ma anche un’attrazione fatale. Gli inglesi di The Observer hanno messo il Superclásico al primo posto tra i 50 avvenimenti sportivi da vedere prima di morire. E lo hanno fatto nel 2004, non ieri. “Il giorno del derby di Buenos Aires fa sembrare l’Old Firm una partitella da scuola elementare”, scriveva Gavin Hamilton, firma di World Soccer magazine. Un Boca-River normale insomma, non questo che vale la Libertadores. Meglio che fare un giro sul circuito di Montecarlo con la propria auto o prendersi un posto all’Amen Corner (green della 11, tutta la 12 e tee della 13) per il Masters di golf ad Augusta.

 


 

 Tifosi del River Plate (foto LaPresse)


  

I biglietti in “recompra” costano anche 120 mila pesos. Le richieste d’accredito sono state 1.080
da 25 paesi

Se gli inglesi dicono di aver inventato il calcio, gli argentini sostengono di aver inventato l’amore per il calcio. Ma tutto nasce alla Boca, il quartiere dei genovesi, sbarcati dall’Italia in cerca di fortuna, di denaro, di vita. Siamo all’inizio del ‘900. River-Boca comincia come derby di quartiere. Se Milan-Inter è il derby di una città. Quello di Buenos Aires è molto di più. È la sfida per la supremazia attorno al Rio de la Plata, il fiume che ha dato il nome al River Plate e che divide, e nello stesso tempo unisce, la capitale e l’Uruguay, il confine tra due modi di intendere la vita e anche il calcio. Il Monumental dal 1986 intitolato a Antonio Liberti, storico presidente, è tra Núñez e Belgrano, quartieri chic della città. Quando non ci gioca il River si esibiscono i migliori artisti in arrivo in Argentina: Sting, Bowie, Springsteen, Michael Jackson, i Red Hot Chili Peppers, gli U2, Madonna, gli AC/DC, Lady Gaga: tutti hanno suonato qui. La Bombonera, intitolata ad Alberto José Armando, è in piena Boca accanto al Museo de la Pasión Boquense dove oltre al grande murales dedicato a Maradona, alla statua gigante di Martín Palermo c’è pure la chitarra gialloblu con cui Lenny Kravitz si esibì in concerto. C’è una statua anche per Carlos Bianchi, vincitore di 9 titoli, ma forse noi italiani non capiremmo.

 


 

Lo stadio Monumental (foto LaPresse)


  

I biglietti sono riservati ai soci dei due club: 180 mila quelli del Boca, 100 mila quelli del River. Peccato che alla Bombonera entrino 49 mila spettatori e al Monumental 66 mila. Sul sito viagogo.com pochi giorni fa c’erano dei biglietti in “recompra” tra i 63 mila e i 120 mila pesos. Fate conto che con 180 mila pesos oggi si compra un’auto usata. Anche l’ufficio stampa del Boca ha dovuto fare gli straordinari: 1.080 richieste di accredito ricevute da 25 paesi. Per l’ultimo Superclásico erano state 717. Nessuno vuole mancare alla Noche che porterà nella leggenda i vincitori e all’inferno gli sconfitti. Il Boca punta alla settima Libertadores per eguagliare il record dell’Indipendiente, il River è alla caccia del suo quarto trofeo. Non credo che vedremo del gran calcio. Troppa tensione, troppa paura di perdere. L’adrenalina schizzerà. L’effetto durerà per settimane. Ma perché Boca-River è tutto questo? Perché la rivalità nata nel barrio ha fatto il giro del mondo? Perché Boca-River non è e non sarà mai una semplice partita di fútbol. È scontro di idee, di filosofie, di visioni del mondo. La squadra nata dalla passione degli immigrati genovesi con i colori svedesi come bandiera contro quella dei millonarios che già negli anni Trenta potevano fare follie per comperare un giocatore, come quando il presidente a cui oggi è dedicato lo stadio pagò con il lingotto d’oro Bernabe Ferreyra, diventato il bomber con la miglior media gol della storia con 185 reti in 187 partite. Ma ricco il River lo diventò davvero vendendo Sivori alla Juve e Di Stefano al Real Madrid e costruendo con quei soldi l’ultima tribuna dello stadio. Poveri contro ricchi. Grinta contro bellezza. Gallinas contro bosteros per usare i dispregiativi coniati dalle tifoserie avversarie (le galline contro gli amanti dello sterco di cavallo). Anche se poi le etichette date un tempo possono anche sbiadire, cambiare, invertirsi. Una sfida che dura dal 1913 (il River nasce nel 1901, il Boca nel 1905) quando Cándido Garcia, un centromediano dal sinistro educato e raffinato, tanto che si racconta potesse suonarci il violino, infila il primo gol della storia in una partita finita 2-1 con la sconfitta di Pedro Calomino, l’inventore della rovesciata. Fino al penultimo precedente, semifinale di ritorno Libertadores del 2004 con Carlos Tévez che segna, fa il verso della gallina ai tifosi gallinas e viene espulso. E Maxi López che sbaglia il rigore decisivo e condanna il River. Una sfida che vale per l’onore, ma anche per la classifica visto che il Boca ha conquistato 33 campionati e il River 36. Il Boca è stato la squadra di Maradona, il River quella di Sivori e Di Stefano, ma questo nel barrio te lo insegnano da quando nasci e ti mettono il vestitino con i colori del club.


 

Murales di Maradona alla Bombonera (foto LaPresse) 


 

In Champions in settimana abbiamo visto partite con qualità più alta. Soprattutto in Italia con il Barcellona a San Siro, il Psg a Napoli e il Manchester allo Stadium di Torino. Il meglio del calcio mondiale ha giocato in Italia. Davvero è stato come se per una settimana il Louvre, il Prado e il Moma portassero i loro capolavori nei nostri musei. Mancava solo Messi. E domani, come dessert di una della settima più ricche della storia del calcio (è in programma anche il derby di Manchester), avremo un Milan-Juve senza coppe o scudetti in palio, ma con tanti significati tra presente, passato e futuro. Con la sfida dirigenziale tra Nedved e Maldini che una volta si contendevano il Pallone d’oro, quella in panchina tra Allegri e Gattuso, due troppo diversi per amarsi, e quella in campo tra Ronaldo e Higuain che il Superclásico lo ha giocato e deciso (suo padre è uno dei 93 che hanno vestito entrambe le maglie, come Batistuta e Caniggia). Anche noi abbiamo i nostri classici. Non saranno super. Ma facciamo bene a tenerceli stretti anche perché se a Buenos Aires hanno calore e colore, tensione e cattiveria, qui da noi c’è in questo momento più qualità. Non siamo più poveri. E siamo più belli. Ma la notte indimenticabile sarà quella di Baires, facciamocene una ragione.