I giocatori della Nazionale di Montserrat esultano dopo il gol segnato a El Salvador

C'è calcio anche alla fine del mondo

Emmanuele Michela

La Nazionale di Montserrat torna a giocare dopo tre anni di inattività. Dalla Groenlandia alle Isole Scilly il pallone come occasione per dire “eccomi”, “io esisto”

Hanno perso all’ultimo secondo con un gol preso solo per distrazione, perché in tutti i romanzi calcistici alla fine qualcuno perde. Le favole non esistono nel pallone, non sempre. Ma le storie di calcio sì. In ogni angolo del globo. Montserrat, è una piccola isola del Mar dei Caraibi, 5 mila abitanti concentrati in una ex colonia britannica che, nel 1995, vide la sua popolazione dimezzarsi a seguito di un’eruzione del vulcano Soufriere Hills. Un’esplosione di lava e cenere che spinse migliaia di persone ad andarsene e seppellì la capitale, Plymouth, segnando apparentemente anche la fine dell’isola. Eppure Montserrat ha una sua nazionale, che la scorsa settimana è tornata a giocare dopo tre anni di totale inattività, arrivando ad un passo dal tirare un brutto scherzo a El Salvador, nella Concacaf Nations League. I ragazzi di Willie Donachie (scozzese, vecchia conoscenza del Manchester City) erano perfino passati in vantaggio nel primo tempo, salvo poi subire la tardiva doppietta di Oscar Ceren. Vincere sarebbe stato un colpaccio, se si considera che i padroni di casa sono in fondo al ranking Fifa mentre i rivali sono al 72° posto. 

 

  

A Montserrat è rimasto così il dispiacere per l’impresa sfumata, consci però del fatto che già scendere in campo è stata una vittoria. I giocatori sono tutti semi-pro e la gran parte vive in Inghilterra, cosa che rende complessi viaggi e trasferte verso l’isola caraibica. “Ma sono tutti brave persone, tutti molto interessati al loro paese”, ha raccontato il ct Donachie alla Bbc. “Non ci sono grandi egocentrici. Sono molto uniti, come una grande famiglia, per questo per me è un grande lavoro”. Anche perché qui del perdere hanno fatto quasi un’arte. Nel 2002, quando a Yokohama si giocava la finale del Mondiale Brasile-Germania, Montserrat fu chiamata a giocare “The Other Final” contro gli himalayani del Bhutan, ovvero ultima contro penultima nel ranking Fifa. Vinsero gli asiatici 4-0, forti anche delle condizioni climatiche favorevoli (si giocava a 2250 metri d’altezza), ma fu un evento tale che il regista olandese Johan Kramer ne fece un film, premiato nel 2003 al Festival di Avignone. E la coppa in palio venne divisa in due metà uguali, consegnate ad entrambe le concorrenti. 

 

Il calcio per dire “eccomi”, “io esisto”, “ho una squadra, quindi sono”, al di là di qualsiasi risultato e di qualsiasi condizione di vita. Puoi vivere in isole dalle scarse risorse, dove la gente è poca, le opportunità minime e la vita noiosa, ma un pallone rotola sempre e crea meraviglie. In Groenlandia, ad esempio, hanno un campionato che si gioca solo una settimana l’anno (trovatela voi una finestra più larga tra il gelo di quella terra), su un campo unico a Nuuk, la capitale. Qui per sette giorni si alternano dieci squadre, su un campo in sintetico installato ai piedi di una collina che si popola di tifosi. La Coca-Cola fa da sponsor, chi non può raggiungere lo stadio si guarda i match da casa, con le dirette trasmesse dalla tv groenlandese.

 

Ci sono le Isole Scilly, a sud della Cornovaglia, casa del più piccolo campionato di calcio al mondo. A sfidarsi sono solo due squadre, Woolpack Wanderers e Garrison Gunners, che si affrontano ben 17 volte in un anno, senza contare le gare di coppa. Chi gioca lo fa ovviamente come dopolavoro in un campionato che parte solo a novembre poiché tanti dei ragazzi fanno lavori stagionali. Le squadre nel 1920 erano quattro, dagli anni Settanta sono rimaste due. Una ha la maglia gialloblu, l’altra azzurro-amaranto. E sulle isole si tifano solo questi colori, così attrattivi da aver portato qui, nel 2008, anche Adidas, che girò uno spot (“Dream big”) con Beckham, Vieira e Gerrard.

 

Chi sogna sempre in grande sono, infine, le squadre dei possedimenti francesi d’oltremare. Anche qui realtà minuscole che però hanno la fortuna di partecipare alla Coupe de France, la grande coppa di lega transalpina che inserisce in un unico tabellone (seppur a scaglioni diversi) tanto i grandi club come Psg e Marsiglia e quanto le piccole società distrettuali. Da Martinica, Reunion, Guyana, Guadalupa arriva ogni anno sulla terraferma francese qualche club pieno di dilettanti e facili speranze. Un viaggio veloce sognando Parigi, che puntualmente finisce con una sconfitta e il ritorno a casa. Ma il risultato, anche stavolta, è solo un dettaglio.