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Il limbo infinito del Torino

Leo Lombardi

La squadra di Mazzarri subisce contro la Fiorentina la quarta sconfitta consecutiva. Perché il club di Cairo, nonostante l'ottima gestione del bilancio, non riesce a essere grande protagonista in campionato

Mediocritas sì, ma tutt'altro che quella aurea del sommo poeta Orazio. Questo è il Torino. E attenzione: non il Torino attuale, bensì quello tornato in serie A nel 2012 e visto fino a oggi. Una condizione certificata dai numeri che, pur quando non sono big data, indicano sempre una tendenza. Nelle ultime sei stagioni, a questo punto del campionato, i granata sono sempre stati in una forchetta compresa tra i 33 e i 39 punti. Non devono quindi stupire gli attuali 36, si inseriscono nel solco della continuità. La differenza, se non altro, la fanno le quattro sconfitte consecutive collezionate, ultima quella di domenica in casa contro la Fiorentina. Una battuta d'arresto come solo il Torino sa regalare: prima Veretout che si invola verso la porta granata per l'1-0 grazie a una solenne fesseria di Acquah, quindi il rigore di Thereau a tempo scaduto, andato a vanificare la rete del risveglio di Belotti e decretato dal Var quando ormai tutti pensavano già a come rientrare negli spogliatoi.

 

 

Ecco, sarebbe bastato vincere un paio di queste partite per scollinare quota 40 e dare finalmente un motivo di esistere a quanti (ogni benedetto anno) si mettono testardamente a compilare tabelle con vista Europa. Niente, invece. Si resta nel limbo quando altri tifosi invece godono, magari inaspettatamente. Basti pensare all'Atalanta della passata stagione e prima ancora, anno per anno, al Sassuolo, alla Sampdoria, al Parma, persino al Catania edizione 2012-13, che aveva ben 9 punti in più dei granata (42 contro 33). Altri numeri vengono poi a certificare l'inutilità del cambio in panchina, chiesto a furor di popolo e avvenuto a inizio 2018. Walter Mazzarri è riuscito infatti a raccogliere un 1,22 periodico a partita, poco meno di quanto aveva saputo fare prima di lui (1,32) il vituperato Sinisa Mihajlovic. Uno schiaffo in faccia a chi, invece, i numeri ha sempre saputo portarli dalla sua parte, ovvero il presidente Urbano Cairo. Ultimi quello di Rcs MediaGroup, trasformata da nave alla deriva quasi senza un domani in macchina capace di generare nuovamente soldi, come gli appena annunciati 71,1 milioni di utile per il 2017, pur in presenza di una contrazione dei ricavi.

 

Un gioco che all'imprenditore alessandrino non riesce invece con il Torino. Meglio: riesce là dove Cairo è un drago pressoché imbattibile, vale a dire la gestione di un bilancio. Il Torino sta bene, da questo punto di vista. Ma sono numeri che vanno in controtendenza con la classifica, che è l'unica cosa che interessi veramente ai tifosi. E quelli granata, occorre riconoscerlo, sono stati veramente pazienti. Da quando Cairo ha preso in mano il club dodici anni fa, il piazzamento migliore è stato il settimo posto del 2014 mentre l'approdo in Europa League della stagione successiva è stato possibile grazie alla scomparsa del Parma. Per il resto mediocrità assoluta, come si diceva, neppure controbilanciata (come accadeva in passato) dalla gioia di mettere all'attivo qualche derby vinto. Sempre dal 2006 a oggi, sono stati diciotto gli incroci con la Juventus, per un umiliante bilancio di una vittoria granata, due pareggi e quindici sconfitte. Così, dopo la battuta d'arresto contro la Fiorentina, Cairo ha deciso di parlare della squadra che verrà, senza però assumersi la responsabilità del presente (“Lasciamo perdere l'Europa, che era un obiettivo di Mihajlovic”, come se la rosa fosse stata interamente scelta dal serbo). Si rimanda ancora al futuro, a fronte di un presente imbarazzante. Ma è un gioco che non potrà continuare all'infinito.

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