Andrea Agnelli (foto LaPresse)

La Juve, il caso Agnelli e l'orrore della repubblica del pettegolezzo

Claudio Cerasa

Quando le fake news vengono trasformate dal circo mediatico in fatti inoppugnabili, in quel momento bisogna fermarsi un attimo e chiedersi come sia possibile rimanere in silenzio

Si può continuare a far finta di nulla, a riderci sopra, a trattare casi come quello che vi stiamo per raccontare alzando il sopracciglio, sbadigliando in modo svogliato e sussurrando al vostro vicino di scrivania che qualcosa sarà pure successo se tutti ne parlano da giorni. Ma quando il bar sport diventa verità assoluta, e quando le fake news vengono trasformate dal circo mediatico in fatti inoppugnabili, in quel momento bisogna fermarsi un attimo e chiedersi come sia possibile rimanere in silenzio di fronte alla proliferazione di una folle repubblica giudiziaria, in cui il tribunale del popolo è legittimato a emettere condanne non sulla base di una prova ma sulla base di pettegolezzi.

 

La storia che vi stiamo per raccontare non è solo la storia della Juventus ma è la storia di un paese come l’Italia, in cui il mix tra professionismo dell’antimafia, moralismo giudiziario, egemonia grillina e giustizialismo mediatico può portare a considerare “coinvolto” in una storia “di ’ndrangheta” il presidente della squadra di calcio più importante d’Italia: la Juventus di Andrea Agnelli. Negli ultimi trenta giorni ci è stata presentata una verità che suona più o meno così. La Juventus ha trattato con la ‘ndrangheta e c’è un’intercettazione che prova il “coinvolgimento” del presidente Agnelli. L’intercettazione è stata riferita di fronte alla commissione Antimafia da un pezzo grosso del calcio italiano (Giuseppe Pecoraro, procuratore della Figc).

 

 

Tutto chiaro e lineare. Ma c’è solo un problema in questa storia: è tutto falso. L’intercettazione che avrebbe “inchiodato” Agnelli non esiste: il procuratore della Figc l’aveva evocata nel corso di un’audizione all’Antimafia facendo riferimento a una conversazione tra Agnelli e il capo della sicurezza della Juve: “Hanno arrestato i due fratelli di Rocco Dominello, lui (cioè Rocco Dominello) è incensurato, parliamo con lui”. Dominello esiste davvero: è un capo ultrà della Juventus rinviato a giudizio (processo “Alto Piemonte”) e in quel processo è stato ascoltato anche come testimone il capo della sicurezza della Juve (per verificare se la vendita di biglietti in blocco della società avviene in modo legale).

 

Il problema però è che quell’intercettazione non esiste (!) e a dirlo non è l’avvocato di Agnelli ma è lo stesso Pecoraro. Una volta trascritta l’audizione, alcuni parlamentari (non Rosy Bindi) hanno chiesto alla Dia e ai Ros se quell’intercettazione esistesse davvero. I Ros e la Dia hanno detto che quell’intercettazione non esisteva e così due giorni fa Pecoraro ha dovuto ammettere ancora in Commissione Antimafia (che ha dedicato 10 ore al tema Juventus) che l’intercettazione non esiste. E nel farlo ha cambiato versione: non si è trattato di un testo di una conversazione ma di un’“interpretazione” data dai pm. Pochi minuti dopo questa affermazione la procura di Torino (Spataro) dice che non è stata data alcuna interpretazione. Nulla. Neanche questo.

 

 

Quindi, ricapitoliamo: Agnelli non è mai stato indagato; la Juve non è coinvolta in nessun procedimento penale; non esiste agli atti della procura alcuna intercettazione che dimostri una fantomatica vicinanza tra Agnelli e la ’ndrangheta; esiste solo un procedimento legato alla giustizia sportiva (giudice sarà neanche a dirlo il dottor Pecoraro) relativo alla vendita in blocco di biglietti da parte della Juve agli ultras della Juve. Bene: nonostante questo da trenta giorni una chiara fake news è diventata una verità assoluta. E quando la fuffa diventa evidente nelle repubbliche giudiziarie, dove il pettegolezzo prevale sulle prove, i propalatori di fuffa di solito non ammettono l’errore ma rilanciano. “Io – dice Pecoraro – non posso escludere che Agnelli fosse a conoscenza dell’estrazione di Rocco Dominello. Questo per me è un indizio”. “A noi – dice Bindi – basta e avanza sapere che le mafie in Italia arrivano persino alla Juventus, questo è chiaro”. Se non puoi dimostrare, alludi. Se non hai le prove, insinua. La repubblica giudiziaria in fondo si costruisce anche così. A colpi di “arriva”. A colpi di “io non posso escludere”. Come dire, si può continuare a far finta di nulla?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.