Alfredo Binda, semplicemente il più forte: meno 86 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il Trombettiere di Cittiglio nel 1927 vinse il suo secondo Giro d'Italia. Quell'edizione la dominò vincendo 12 tappe su 15 e tutti capirono che un nuovo campione si era abbattuto sul ciclismo

Più tappe e più brevi. Tre in più dell’anno prima, quasi non bastasse la solita fatica e ci fosse bisogno di un nuovo surplus, quasi fosse una punizione per l’ammutinamento di tre anni prima. Più tappe e più brevi, come se fosse un contentino dare più possibilità di vittoria ai corridori. Che poi più possibilità ci sarebbero se non corresse anche lui quello che tutto vince, quello che più che uomo è macchina.

 

Alfredo Binda in quel maggio del 1927 non era un nome nuovo, un Giro d’Italia l’aveva vinto nel 1925, ma lottando alla pari con Costante Girardengo. E fu solo grazie alle forature se riuscì a staccarselo dalla ruota posteriore. Forte lo era, lo sapevano tutti, d’altra parte aveva vinto sei tappe l’anno prima quando a Milano fu secondo dietro il compagno Brunero, ma una cosa del genere chi la poteva immaginare.

Così se a Torino li salutò sulla salita della Serra, sopra Ivrea, prima di mettere in fila quelle cinque buon’anime che erano riuscite a raggiungerlo in pianura; se a Reggio Emilia anticipò tutto il gruppo con la forza dello sprint; e così a Lucca; se a Grosseto solo quel furbone di Piemontesi lo precedette, giocando un po’ sporco chiudendogli la strada quando era in fase di sorpasso; fu a Roma che le fanfare ne accolsero il passo solitario dopo che sui monti Cimini aveva deciso che la compagnia altrui era più che mai sgradita: alle sue spalle otto minuti e mezzo di vuoto prima che dall’ultima curva sbucasse “Il Mastino” Antonio Negrini con la sua faccia sempre sorridente, questa volta stravolta. Alla sua ruota Giuanin Brunero, che un cambio non gliel’aveva dato perché portava la stessa maglia del Binda, ma fu lesto e contento di superarlo sotto l’arrivo per accaparrarsi il premio del secondo classificato.

 

Un giornalista del Giornale d’Italia aveva preso da parte Alfredo prima del via di Milano e gli aveva detto: “Uno può anche vincerlo il Giro, ma come lo vinceva Girardengo”. Lui rispose: “Vedrai come li vice Binda”. Si mise a ridere, un po' per simpatia, un po' per scherno. E così quando a Napoli il corridore vide il giornalista, dopo aver ancora superato tutti per la quinta volta in sei tappe, si fece dare una tromba dalla banda che suonava sotto il palco delle premiazioni e gli dedicò un’aria. D’altra parte trombettiere lo era e anche di una certa bravura.

 

Il corridore di Cittiglio (Varese) continuò così per tutto il Giro. Dodici vittorie su quindici, ventisette minuti sul secondo, oltre trentasei sul terzo. E un “così vince Binda”, bisbigliato con un sorriso a chi aveva lodato le gesta del Campionissimo.

 

Perché Girardengo sarà stato anche il primo corridore eccezionale della storia del nostro ciclismo, veloce e arrembante, intelligente e scaltro, ma Binda fu senza dubbio il migliore: non era uno specialista in qualcosa, eccelleva in tutto.

 

Vincitore: Alfredo Binda in 144 ore 15 minuti e 35 secondi;

secondo classificato: Giovanni Brunero a 27 minuti e 24 secondi; terzo classificato; Antonio Negrini a 36 minuti e 6 secondi;

chilometri percorsi: 3.758.