Alfonsina Strada

Le strade di Alfonsina tra ammutinamenti e invenzioni femministe: meno 89 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Per un problema di soldi i migliori corridori decisero di non partecipare all'edizione del 1924. Cougnet disperato e certo dello scarso interesse per la competizione ebbe l'idea di schierare al via la prima e unica donna: Alfonsina Strada

A venti chilometri da Bologna c’è Castelfranco Emilia. Patria di Alfonsa Rosa Maria Morini. Chi? La conoscete tutti. E’ Alfonsina Strada, la donna che sfidò costumi e pregiudizi del primo Novecento e soprattutto gli uomini nel ciclismo che contava. In bici inizia su pista. E’ il 1907, lei ha 15 anni e viene utilizzata più che altro come attrazione. Una donna in bicicletta, cose mai viste. Ma Alfonsina continua, non gliene frega niente di cosa pensa la gente, a lei piace pedalare e lo fa. Nel 1915 sposa a Milano il cesellatore Luigi Strada, perché non è bene che una donna non sia maritata e corra con la bicicletta, le dicono. Luigi però è uomo di moderne vedute e non si stranisce della passione della moglie, anzi la sprona. E’ lui che le regala una bici uguale a quella dei professionisti.

 

Alfonsina si decide a lasciare i velodromi per tentare la via del professionismo. Nel 1917 e nel 1918 si iscrive al Giro di Lombardia come isolata. Arriva al traguardo in tutte e due le edizioni e mai come ultima. Poi prova più volte a iscriversi al Giro, ma l’esito è sempre il solito: respinta.

Arriva però il 1924 e tra corridori e organizzatori non tira aria amichevole. I primi vogliono essere pagati dai secondi, mentre i secondi dicono che ci sono già i premi dei traguardi ad arricchire i primi. I primi minacciano di non partecipare alla dodicesima edizione, i secondi sono sicuri che il Giro è il Giro e il suo prestigio basta da solo a richiamare i grandi corridori. Va a finire che i primi rinunciano davvero e i secondi si ritrovano al via 89 iscritti e nessun campione. E così Armando Cougnet ha l’idea giusta: accettare la domanda di quella strana donna che ama la fatica, quell’Alfonsina che da anni lo assilla di lettere. Cougnet è un conservatore, gliene frega poco dell’emancipazione femminile e cose del genere, ma sa che di Alfonsina non si potrà non parlare. E Alfonsina sa benissimo tutto questo. Ma è il ciclismo che le interessa non le lotte delle donne. Cougnet non era un illuminato, lei non era una femminista, nonostante tutto il ciarlare degli ultimi cinquant’anni.

Senza i campioni, è lei la più applaudita. Ha il numero 72 e nelle prime tappe se la cava benino, sempre al traguardo con ritardi contenuti e comunque mai in ultima posizione come qualche maligno ipotizzava. Ma all’ottava tappa, la Aquila-Perugia, la crisi. Dolori a gamba e braccia, postumi delle numerose cadute. Fuori tempo massimo. Finirà la corsa grazie a una deroga della giuria, timorosa di perdere l’unico motivo di interesse di quell’edizione sotto tono. A Milano venne accolta da due ali di folla, da due muri di applausi. Fu il primo e unico Giro d’Italia di Alfonsina. Non che non c’abbia provato. La risposta fu sempre: non idonea. Alfonsina però non si perse d’animo e continuò a correre, certo gare minori, ma continuò. Alla fine furono 36 i successi, molti dei quali ottenuti contro rivali maschi. Chiuse nel 1937, a 46 anni, con il record dell’ora femminile: 35,280 km. Fu l’unica donna a battere ciclisti di sesso maschile. In ogni caso rivoluzione allo stato puro.

 

Vincitore: Giuseppe Enrici in 143 ore 43 minuti e 37 secondi

secondo classificato: Federico Gay a 58 minuti e 21 secondi; terzo classificato: Angiolo Gabrielli a 1 ora 56 minuti e 53 secondi

chilometri percorsi: 3.613

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