Così il gioco più bello del mondo diventa un gioco finanziario

Francesco Caremani
Sempre più calciatori sono di proprietà di fondi d'investimento che lucrano sulle compravendite degli atleti. Dal Porto, alle squadre inglesi, passando per la Juventus, tutti hanno avuto a che fare con loro. E ora questo sistema potrebbe diventare illegali.
I quarti di Champions League sanno di primavera, di notti di coppe e di campioni. Notti con la musica giusta, da gustare allo stadio o in HD, ma dietro quella copertina patinata che ci piace tanto c’è un’economia parallela che sta mettendo a rischio il sistema calcio a livello mondiale. Si tratta dei fondi d’investimento che posseggono i cartellini dei calciatori o parti di questi, le cosiddette TPO (Third party ownership) contro cui le federazioni internazionali poco possono e alle quali mancano strumenti sanzionatori e investigativi per mettervi un freno. Delle otto squadre impegnate, infatti, solo il Bayern Monaco sembrerebbe, per quello che sappiamo, ‘TPO free’. Il club invece che più di tutti è invischiato in questo sistema è il Porto con molti giocatori controllati da Jorge Mendes, il dominus del calciomercato planetario, e prim’ancora dal fondo brasiliano Doyen Sports Investment. Vi ricordate Radamel Falcao? L’attaccante colombiano, cresciuto nelle giovanili dei Lanceros, poi al River Plate? Arriva al Porto nel 2009, due stagioni e passa all’Atletico Madrid, altre due e va al Monaco, una sola e veste la maglia del Manchester United, dove sta facendo un campionato anonimo. Nell’ambiente dei fondi d’investimento è chiamato Cash Machine perché le sue continue cessioni hanno fatto guadagnare gli investitori. Un giro d’affari che il sito Sport Business stima in 3 miliardi di euro l’anno e secondo Bloomberg la redditività di queste operazioni si aggira intorno al 50 per cento.

 

“Un rischio economico enorme per i club”, ha detto al Foglio Pippo Russo, collega e autore del libro “Gol di Rapina” (Edizioni Clichy), nel quale denuncia il lato oscuro del calcio mondiale: “Si tratta di un’economia parallela che somiglia molto alla bolla speculativa dei mutui subprime: pochi giorni fa il difensore esterno Danilo è passato dal Porto al Real Madrid per 31 milioni di euro, cifra di per se fuori mercato. Alla fine il Real ne pagherà 39, di cui 8 di commissioni, cioè il 25 per cento del valore riconosciuto al calciatore. Questa è pura speculazione finanziaria. I fondi hanno sede legale in paradisi fiscali, non sappiamo nulla di chi c’è dietro ed è chiaro che Fifa e Uefa possono fare poco. Senza specifici riferimenti ai soggetti in ballo l’impressione, almeno la mia, è che il football stia diventando una gigantesca lavanderia di denaro”. Continuando il gioco dei soprannomi ecco che nella rete professionale di Jorge Mendes il Real Madrid diventa House of Cards, l’Atletico Madrid la seconda residenza, il Monaco il Mendes francese, Pinto da Costa il padrino del Porto, rimanendo in ambito Champions. E Doyen? Una storia segreta (fonte So Foot), ultimamente poi i rapporti sembrano essersi deteriorati.

 

L’Uefa si sta battendo contro le TPO dal 2012, anche perché considerate (e di fatto lo sono) un grimaldello per aggirare il Fair Play Finanziario. La Fifa, invece, con la circolare 1464 le vuole rendere fuorilegge dal prossimo 1 maggio: “E le società cosa dovrebbero fare?”, si chiede Russo, “comprare le quote in mano ai fondi? Non far giocare il calciatore? Non si può obbligare qualcuno a vendere o comprare, va contro i diritti della libera impresa e andrebbe contro i diritti della persona, paventando nuovi casi Bosman. Non so perché Blatter abbia, incomprensibilmente, deciso così, ma l’unico modo per contrastare questo sistema economico è incidere sulla rendita finanziaria dei club, tassando in modo pesante tali distribuzioni di denaro”. I calciatori restano il bene più importante per le società di calcio, bene di cui si stanno impadronendo i fondi d’investimento, arricchendosi a scapito delle prime. Un meccanismo nato in Argentina, dove sono professionisti nelle triangolazioni di giocatori, ovvero il passaggio tra due squadre attraverso una terza, meccanismo utilizzato pure dai narcos messicani per riciclare denaro, e su cui l’Afip (la locale agenzia delle entrate) ha messo le mani. Mentre Portogallo e Spagna stanno cercando di fare fronte comune contro la Fifa e a favore delle TPO.

 

Senza andare tanto lontani, Alvaro Morata, l’attaccante della Juventus, è targato Doyen e l’eventuale recompra farà guadagnare innanzi tutto il fondo d’investimento brasiliano. Il cartellino di Carlos Tevez appartiene alla Media Sports Investment dell’anglo iraniano Kia Joorabchian e proprio il passaggio di Carlitos e di Javier Mascherano, nel 2006, dal Corinthians al West Ham United (anche la Premier League è terreno fertile per le TPO) è stato la scintilla che ha mosso l’inchiesta di Pippo Russo. Il calcio italiano economicamente debole rappresenta una frontiera attraente per i fondi, che hanno interesse a valorizzare giovani promettenti in un campionato competitivo di seconda fascia o a rivitalizzare calciatori che sembravano ‘persi’. Tra gli altri, c’è il caso Parma con 300 giocatori sotto controllo, tra cui l’intera squadra slovena del Nova Goriça. La Covisoc ha fatto il suo lavoro e ha segnalato l’anomalia, ma evidentemente si è pensato bene di non intervenire, e altre squadre italiane potrebbero essere sull’orlo del baratro con debiti importanti. In Portogallo il Benfica ha dovuto ricomprare quote dei propri tesserati per 19 milioni di euro che altrimenti sarebbero finite nel fallimento del Banco Espírito Santo, dov’era appoggiato il Benfica Stars Fund. Pura finanza creativa che invece di arricchire rischia di radere al suolo il gioco più bello del mondo.

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