Migranti in Grecia, trasferiti da Lesbo al Pireo (LaPresse)

I migranti e il rischio di essere tacciati di buonismo

Giacomo Papi

Realismo e complessità sono temi usati per giustificare i peggiori crimini della storia

Nella storia umana non c’è mai stato un tempo – tranne questo – in cui ai poveri sia stato negato il diritto di mettersi in viaggio per cercare fortuna. Il fatto che un divieto tanto recente sia oggi considerato accettabile e naturale (dai ricchi), dimostra la straordinaria potenza della cultura e come la convenienza sappia plasmarla. L’accusa di “buonismo” lanciata su questo giornale dal responsabile della sicurezza del Pd richiama in modo sinistro quella di “pietismo” che i fascisti rivolgevano a chi aveva qualcosa da eccepire sulle leggi razziali. E affermare, come ha fatto sempre sul Foglio, Marco Minniti, che c’è “un’evidente correlazione tra migrazione e covid”, fa venire in mente il leghista Borghezio che disinfettava i treni con le donne africane. (Confesso di avere immaginato l’ex ministro dell’Interno che provava la faccia truce allo specchio).

   

È un fatto che in materia di migrazione il governo Renzi sia stato molto più di sinistra, e civile, di quelli di Gentiloni e dell’attuale, la cui linea è ancora “Prima gli italiani”. Pur di battere il sovranismo truce si è disposti a diventare sovranisti sobri, sempre meno peraltro. La questione della migrazione è complessa – vero – regolamentarla è difficile – verissimo – e ci vuole realismo – d’accordo. Solo che realismo e complessità sono argomenti usati anche per giustificare i peggiori crimini della storia. E soprattutto: il realismo dipende dalla realtà che vuoi costruire. È sempre la cultura a decidere che cosa siamo disposti ad accettare.

 

Quando si parla di migranti si rischia di essere retorici o, peggio, buonisti (pfui!). Proverò a scriverne, quindi, come un geometra (o un geografo). La maggior parte delle 323 frontiere oggi esistenti ha poco più di 150 anni, risale cioè al periodo coloniale. La loro estensione complessiva attuale è di 250 mila chilometri, di cui 28 mila comparsi durante la Guerra fredda e 25 mila dopo il 1990. Per avere un parametro, l’equatore è lungo 40.076 chilometri, sei volte di meno delle frontiere nel mondo. Ai 323 confini terrestri se ne aggiungono altri 500 marittimi, in gran parte fluttuanti, perché non ancora del tutto tracciati: come si dice, scritti sull’acqua. Prendo queste note da Atlante delle frontiere di Delphine Papin e Bruno Tertrais pubblicato da Add in aprile. E aggiungo che oggi in Europa ci sono 470 chilometri di filo spinato, quattro volte più del Muro di Berlino (che fu costruito per impedire di uscire, mentre le frontiere di oggi impediscono di entrare).

  

Veniamo allo spazio: immaginiamo una piscina olimpionica lunga 50 metri (oppure le 245 miglia marine che separano Tripoli da Pantelleria). Rispetto alla storia dell’uomo moderno, che comparve sulla Terra circa 200 mila anni fa in Africa, guarda un po’, gli ultimi centocinquant’anni corrisponderebbero agli ultimi 3 centimetri. Commisurata, invece, alla distanza tra Libia e Italia, l’èra moderna occupa gli ultimi 350 metri prima della riva. Giunti agli ultimi 3 centimetri, insomma, consideriamo naturale e immutabile un’idea che nei precedenti 4 mila 997 non c’era mai stata. Del diritto a spostarsi – il più antico dell’uomo e l’ultimo a essere negato – rimane una traccia, ignorata, nell’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. 

   

In questa idea sono impastati temi – l’uguaglianza delle condizioni di partenza, il dovere di attutire le ingiustizie – che dovrebbero fondare l’identità stessa della sinistra, ma di cui, oggi, in Italia, e ovunque in occidente, non sembra essere rimasto più nulla: non soltanto nei partiti, anche in una parte consistente degli elettori, sempre che non ci sia un cattivo con cui prendersela. La percezione del male sembra dipendere, cioè, dalla percezione del diavolo. Quando il cattivo va all’opposizione, il dolore degli altri smette di essere scandaloso, e perfino visibile. Se non c’è un colpevole, la colpa scompare. Quest’anno gli arrivi sono triplicati, ma si è sgonfiato lo sdegno per i decreti “Sicurezza” (intonsi, nonostante il segretario del Pd avesse solennemente promesso di cancellarli), per i finanziamenti alla Guardia costiera libica (confermati dall’attuale maggioranza con voto quasi unanime del Pd, nonostante l’Assemblea nazionale avesse votato all’unanimità per sospenderli), per gli stupri e le torture nelle carceri libiche, per i respingimenti in mare, le navi in quarantena, per i naufragi accaduti e per quelli che stanno per accadere, per le fughe di massa dai centri accoglienza, per i bambini che si tagliano le vene in Grecia, per i ragazzi rimandati in Libia dalla Guardia costiera italiana e ammazzati da quella libica appena sbarcati, per i cadaveri che galleggiano alla deriva per giorni.

  

Da millenni per addormentare i bambini si leggono fiabe. Lo facciamo tutti, soprattutto quelli di sinistra, ignorando che quasi sempre raccontiamo storie di migranti. I personaggi delle fiabe – devo l’immagine a Simona Vinci che ne aveva scritto su Facebook anni fa – camminano-camminano in cerca di fortuna e tesori lontani, e alla morte del padre innumerevoli figli di mugnai, pescatori, contadini lasciano la casa dove sono nati per andare lontano, salgono su carri, cavalcano cavalli o draghi, scavalcano montagne, attraversano mari e fiumi, senza mai incontrare confini, guardie costiere, muri di filo spinato. Perché non sono mai esistiti. È grazie a questi viaggi che gli esseri umani hanno raccontato ad altri esseri umani che chiunque poteva trovare la propria strada nel mondo, e che cercarla era la sola libertà dei poveri: il Gatto con gli stivali, Hansel e Gretel, Pollicino, i musicanti di Brema, la piccola Gerda della Regina delle nevi di Andersen, Simbad il marinaio, e poi nei libri: Pinocchio, Alice, Candide, Billy Bud marinaio, Jim Hawkins, Encolpio e Gìtone, Enea, Marco Polo, Gulliver, Ulisse. Perfino sant’Agostino, che nelle Confessioni confessa di essersi imbarcato di notte su una piccola barca per raggiungere l’Italia dall’Africa, oggi, sarebbe rispedito nelle carceri libiche.

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