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Spazio Okkupato

Uomo o macchina. Con chi sto chattando?

Giacomo Papi

Mettersi in contatto con il customer care di una multinazionale è come affacciarsi sul baratro dell’indistinguibilità tra intelligenza umana e artificiale

Riporto di seguito, con alcuni tagli e commenti, la trascrizione di una chat avvenuta tra il sottoscritto e l’assistenza di un diffusissimo eReader dalle 20:39:45 alle 21:20:49 di venerdì 28 agosto 2020.

– Buonasera, ho appena acquistato “Il filo e le tracce” di Carlo Ginzburg, ma non riesco ad aprirlo.

– Si segnala che se si cambia applicazione o si passa a un’altra finestra web è possibile che la sessione venga interrotta. Per garantirci di assistervi nel miglior modo possibile, Vi chiediamo, gentilmente, di rimanere attivi in questa finestra di chat.

– Ok.

– Per ragioni di sicurezza le chiediamo per favore di confermarci la data o il titolo dell’ultimo acquisto effettuato.

– “Il filo e le tracce” di Carlo Ginzburg.

Avete mai provato a chattare con il customer care di una multinazionale? Sto parlando di quelle piccole icone a forma di fumetto che in molti siti stanno in basso a destra e che, quasi sempre, sono il modo più veloce di stabilire un contatto e ottenere un aiuto. Apri la conversazione e sei assalito da un’improvvisa vertigine, oscillando tra lo stupore colmo di gratitudine che ci sia davvero qualcuno a occuparsi di te e il sospetto che non sia qualcuno, ma qualcosa. E’ come affacciarsi sul baratro dell’indistinguibilità tra intelligenza umana e artificiale, tra bot e persona. I confini tra uomo e computer sfumano precipitando nel mondo descritto da Mark O’Connell in “Essere una macchina”.

– Vada alla schermata “Home”. Tocchi l’icona “Menu”. Vada su “Impostazioni”. Tocchi “Account”. Tocchi “Esci”. Apparirà una schermata di conferma. Tocchi “Esci”.

– Ok. Mi dice impossibile connettersi.

– Riprovi.

Le domande iniziali hanno formule fisse, il che ti obbliga a rispondere con formule fisse, in modo scarno, per non offendere la persona e neppure la macchina. E’ come partecipare al test di Turing, l’esperimento che nel 1950 dimostrò per la prima volta l’impossibilità di distinguere tra intelligenza umana e artificiale conversando a distanza.

   

– Mi aiuti sincronizzando di nuovo il suo eReader.

– Eccomi.

– Ha sincronizzato il suo eReader?

– Aspetti. Non vedo il libro.

– La prego di aiutarmi a provare questi passaggi: vada alla schermata “Home”. Tocchi l’icona “Menu” nella parte inferiore dello schermo. Vada su “Impostazioni”. Prema “Informazioni dispositivo”. Tocchi “Ripara”.

– Ok.

La vertigine del dubbio non investe soltanto la natura di chi risponde, ma anche la tua perché, dialogando con la macchina, esattamente come accade con Siri ed Alexa, ne assorbi il linguaggio, e forse la natura. Per reagire allo spaesamento puoi cercare appiglio in Alan Turing: “Il solo modo per cui si potrebbe essere sicuri che una macchina pensa è essere la macchina stessa e sentire che si sta pensando. Allo stesso modo, la sola via per sapere che un uomo pensa è essere quell’uomo in particolare”. Invece di calmarsi, il senso di spaesamento cresce, così provi ad aggrapparti ai dubbi di Wittgenstein: “Solo io so di avere una autocoscienza. Può darsi benissimo che gli altri che mi circondano non l’abbiano. Perché allora ci intendiamo, perché comunichiamo. Ma anche perché comunichiamo con la logica. La logica è qualcosa di umano? Certo. Ma la logica è presente anche nelle macchine”. Il panico cresce.

      

– Sta visualizzando la sua pagina iniziale ora?

– No, mi dice account non trovato.

– Reimpostiamo la password. Lasci che le invii la mail di reimpostazione.

– Grazie. Ubbidisco.

– Si prenda il suo tempo.

     

Man mano che il problema si definisce, accade qualcosa: la tua fede nel fatto che di là ci sia una persona reale aumenta, e così le tue risposte si fanno più fluide, azzardi perfino qualche leggera ironia. Se di là c’è davvero un essere umano, allora sei umano anche tu. Ripensi all’inizio de “L’uomo che amava le donne” di Truffaut in cui il protagonista Charles Denner corteggia Aurore, la telefonista che gli lo sveglia al mattino. E improvvisamente capisci che lo straniamento è dato più dalla lingua che dalla natura di chi risponde. Il tono umano è stato modellato su quello della macchina, e non viceversa. A differenza di Aurore, la creatura con cui stai parlando deve attenersi a un protocollo standard e sa che ogni sua parola può essere controllata dai capi. Inizi a sentire una vibrazione ogni volta che appaiono i puntini di sospensione, segno che l’entità oltre lo schermo sta scrivendo qualcosa e dopo mezz’ora, per un istante, l’umano riappare.

   

– Sto importando il contenuto!

– Speriamo che lei possa aprire il libro adesso.

– Eccolo, l’ho aperto, grazie! E’ stata davvero molto gentile e paziente. Ha fatto il suo lavoro con grande disponibilità e precisione.

– Sono così felice di sentirlo! Felice, siamo stati in grado di risolverlo! Mi scuso per quanto accaduto, spero che lei possa godersi il suo libro ora.

– Felice di sentire che è felice. Buona notte.

–C’è qualcos’altro in cui posso aiutarla?

– Nulla, stia bene.

– Grazie per averci contattato, oggi è stato un piacere aiutarla. Le auguro di trascorrere una giornata eccellente. In caso di ulteriori problemi o domande, non esiti a contattarci nuovamente.

   

Per un attimo si era lasciata andare. Per tenersi il lavoro, doveva immediatamente tornare a essere macchina.

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