un amarcord infinito

Il riproporsi ossessivo degli anni 80 e 90 e l'assenza di nuove storie da raccontare

Carlo Maria Simone

Da Stranger Things a Super Mario, dai sequel di Top Gun all'album di Coez è la sindrome dell'eterno ritorno. Ma la reperibilità a oltranza è caratteristica distintiva degli schiavi. Forse gli smartphone e le connessioni costanti hanno distrutto la noia e il tempo libero, necessarie basi della creatività? Uccidere la nostalgia

"Cosa resterà di questi anni 80?”, domandava una nota canzone. Troppo, verrebbe da rispondere. Basta aprire il feed di Instagram per vedere che da qualche giorno si parla solo di Stranger Things, la serie di successo mondiale targata Netflix giunta ormai alle battute finali, che ha fatto tombola col suo mash-up di Goonies, The Clash e Dungeons and Dragons (infatti, adesso che con la quinta stagione i personaggi sono cresciuti e il melting pot s’è raffreddato, è meno affascinante).

 

Ma Stranger Things non è che il più roboante epifenomeno del terremoto 80-90. Abbiamo fatto una serie tv sugli 883 che è tutta un dolce sospiro di nostalgia. Amazon ha mediocremente riproposto Il Signore degli Anelli, e tra poco riavremo anche Harry Potter, con un Piton tutto nero. Non si contano più i rifacimenti di It di Stephen King. Dopo quarant’anni, abbiamo fatto il sequel a Top Gun; e ancora nel 2025 è uscito un nuovo capitolo di Karate Kid. Sul fronte videoludico, Pokémon e Super Mario continuano indefessi a sbancare uscendo con la media di un nuovo titolo all’anno (da 30 e 40 anni, rispettivamente). Si sprecano i romanzetti amarcord. Coez ha fatto un album intitolato 1998 dove canta quant’era bello stare in 20 a cena. In finale di X Factor c’è una ragazza, Rob, acclamata come Avril Lavigne rediviva; elaborato il suicidio di Chester Bennington, sono tornati alla ribalta i Linkin Park. Àmbito nippomania, One Piece esce ormai dal 1997, e attorno a lui fiorisce una nebulosa di manga e anime che riempiono fiere e fanno sborsare i risparmi dei non più giovanissimi. E’ rispuntato pure La ruota della fortuna; e la lista potrebbe proseguire.

 

Questo eterno ritorno degli 80-90, con un pizzico di 2000 pre-Torri Gemelle, è tanto più eclatante se si considera che, da un lato, non vengono affatto ripresi con la medesima insistenza i decenni precedenti (a parte i 70, in cui sono imprigionati certi manifestanti); e, al contempo, sugli ultimi vent’anni sembra essere sceso un velo di amarezza, una paralisi creativa. I bambini degli anni 80-90 sono ormai adulti, per lo più senza figli, ma finalmente con i soldi. Perfetti consumatori, generalmente tristi, sono i Cocchi Belli dell’industria dell’intrattenimento, che lietamente ripropone loro il medesimo cono gelato da quand’erano fanciulli, sempre più grande. E intanto guadagna, a spese di quello che von Franz chiama il nostro puer aeternus, che vuole salvaguardarsi un’infinita libertà evitando ogni responsabilità e giocando per sempre. Diventati ormai un emisfero di vecchi, l’altro settore su cui l’industria dell’intrattenimento punta di più è quello degli anziani, dall’Alzheimer di Teresa Battaglia in giù.

 

Tuttavia, l’aspetto più preoccupante della vicenda è l’assordante assenza di nuove storie da raccontare. Continuiamo a ripeterci le medesime, non solo per nostalgia, ma perché (molte) erano veramente belle. Da cosa potrebbe scaturire allora un’originale fantasia degli anni 10 e 20? Come Montale, più facile dire da cosa non nascerà: non dallo smartphone, dominus et deus degli ultimi 15 anni, che ha distrutto la noia e il tempo libero, necessarie basi della creatività. Forse degli anni 80 e 90 ci manca proprio questo: che non eravamo costantemente connessi. La reperibilità a oltranza è caratteristica distintiva degli schiavi, che infatti non hanno mai inventato niente. Le belle storie necessitano di libertà, menti istruite, cuori in ricerca; e del genio di intuire la caratteristica più vera dell’epoca in cui si vive. Se quella di oggi è davvero la nostalgia, occorre uccidere Peter Pan: prima che lui uccida noi.

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