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qualità dell'aria
I morti da inquinamento stradale sono meno di quanto si creda
L’aumento della mortalità che oggi può essere attribuito all’inquinamento atmosferico in Europa è pari a pochi punti percentuali, ma tutto è influenzato dalla metodologia utilizzata per calcolare il rischio. Numeri e studi a confronto
Si legge spesso sui giornali che in Italia le polveri sottili emesse dal traffico stradale causerebbero molte decine di migliaia di morti. Ma è davvero così? Occorre innanzitutto fare una precisazione di metodo. Come si può leggere nel Rapporto “The mortality effects of long-term exposure to particulate air pollution in the United Kingdom” del Committee on the Medical Effects of Air Pollutants: “Non è corretto considerare la cifra dei decessi come un conteggio effettivo di un gruppo di individui la cui morte è dovuta esclusivamente all’inquinamento atmosferico, ovvero come ‘vittime’ dello stesso”. Non si muore di inquinamento come in un incidente stradale o sul lavoro. Non vi sono certificati di morte che riportano come causa del decesso la elevata concentrazione di polveri sottili.
Molti (ma non tutti) studi epidemiologici giungono alla conclusione che nel breve e soprattutto nel lungo periodo l’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di mortalità per le persone affette da patologie molto diffuse, in particolare quelle di natura cardiovascolare. Il rischio relativo, ovvero l’aumento della mortalità che oggi può essere attribuito all’inquinamento atmosferico, è oggi in Europa piccolo, pari a pochi punti percentuali. A titolo di confronto, il rischio relativo di sviluppare un tumore ai polmoni nei fumatori è del 600 per cento superiore a quello dei non fumatori. Già venticinque anni fa l’Accademia francese delle scienze scriveva: “Vi sono numerose incertezze in merito alla rilevanza degli effetti a corto e a lungo termine. Tali incertezze sono legate alla piccolezza del rischio. E’ relativamente facile misurare un rischio relativo superiore a 5, come accadeva trent’anni fa. Negli anni Ottanta dello scorso secolo ci si è occupati di rischi dell’ordine di grandezza da 1,5 a 2 e già questo risultava molto più difficile poiché i fattori di confusione introducono rilevanti elementi di imprecisione. Ma, oggi, i rischi relativi sono compresi fra 1,02 e 1,05; ci si viene quindi a trovare in una situazione assai complessa in quanto i risultati sono largamente influenzati dal tipo di metodologia utilizzata: la correzione dei fattori di confusione, i modelli matematici che sono indispensabili per l’analisi determinano infatti livelli di incertezza assai rilevanti”. Incertezza che si riflette nei risultati delle diverse analisi disponibili che variano in un ampio intervallo.
Ad esempio, secondo il Global Burden of Disease, probabilmente il più completo studio epidemiologico osservazionale a livello mondiale oggi disponibile, in Italia nel 2021 il tasso di mortalità per l’inquinamento outdoor è risultato pari a 15,7 decessi per 100 mila abitanti (era 63,8 nel 1990), valore che in termini assoluti corrisponde a 9.300 morti premature.
Secondo l’Agenzia europea per l’Ambiente (Eea) le “vittime” sarebbero 53 mila. Un articolo scientifico, tra i più citati in materia, pubblicato su Nature nel 2015, fornisce un valore intermedio: 20.809 decessi prematuri causati da polveri sottili e ozono di cui 3.519 attribuibili al trasporto stradale. Tale quota è congruente con il fatto che auto e camion, al contrario di quanto si pensa diffusamente, contribuiscono alla concentrazione di PM2.5 in misura limitata, pari a circa il 15 per cento.
Se ne è avuta conferma nel 2020, in occasione del lockdown, quando, pur in presenza di una riduzione della mobilità di oltre l’80 per cento, la concentrazione di polveri sottili rimase sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti.
C’è da considerare che tali valori fanno riferimento alla situazione di tre lustri fa e che negli ultimi quindici anni è proseguito, soprattutto per merito dei progressi nel settore del trasporto stradale, il miglioramento della qualità dell’aria, in atto da molti decenni. Ne troviamo riscontro nella più recente Relazione sulla qualità dell’aria della città metropolitana di Milano, redatta da Arpa Lombardia dove si ribadisce “la tendenza ad avere concentrazioni basse per gli inquinanti primari tipici del traffico veicolare, per i quali la diffusione di motorizzazioni a emissione specifica sempre inferiore permette di ottenere importanti riduzioni delle concentrazioni in atmosfera”. Ed è per questo motivo che provvedimenti di limitazione della mobilità individuale e di incentivazione di quella collettiva sono sempre meno efficaci oltre che inefficienti comportando costi molto maggiori dei benefici conseguiti.