L'entrata del Garrick Club - foto Ansa

In Inghilterra

Dopo 200 anni il Garrick club apre alle donne

Michele Masneri

"Rivoluzione" a Londra tra attori, spie e ministri mentre crolla il bastione del patriarcato delle élite. Ricordo di un pranzo molto speciale

Sì, a noi fa un po’ ridere, ma rideremmo  pure se  a Roma vietassero l’ingresso al circolo Aniene magari ai notai o ai medici? Eppure la questione che ieri era su tutte le prime pagine inglesi tiene banco da mesi a Londra, forse perché tra governo traballante e monarchia convalescente, il Garrick Club ricordava un’epoca di lontanissime certezze


Il Garrick, uno dei vecchi circoli per gentiluomini londinesi, dopo 193 anni di onorata segregazione aprirà le sue porte alle signore, questa la ferale notizia. I 562 soci hanno deciso, col 59,98 per cento di maggioranza, di accettare appunto anche le donne (che in realtà potevano già entrare in alcune aree, ma non in tutte). Oltre a re Carlo, del club sono soci il vicepremier, dozzine di lord e dieci deputati, e poi avvocati, accademici, giornalisti, uomini di spettacolo. Il club fu fondato infatti nel 1831 dal duca del Sussex in onore di John Garrick, il più grande attore shakespeariano del Settecento. In passato, sono stati soci  tutti i più grandi attori britannici (tra cui Laurence Olivier e John Gielgud) ma anche scrittori come Charles Dickens, William Makepeace Thackeray, Anthony Trollope, H. G. Wells; e celebrità varie come Noël Coward, legate al mondo dello spettacolo o delle lettere o della carta stampata, perché se ogni club ha la sua specializzazione questo è quello degli attori e dei giornalisti: e siamo del resto a poche centinaia di metri da Fleet Street, la strada del Times e dei grandi quotidiani. Oggi ne fanno parte Benedict Cumberbatch e Brian Cox, il papà cattivo di “Succession”, ma anche il regista e documentarista lord Richard Attemborough, e l’attore Stephen Frye, che sarebbe secondo il Guardian a favore delle donne. Anche i soci Sting e Mark Knopfler sono pro-femmine, e soprattutto per chiudere la defatigante polemica che si trascina da mesi.   


Diversi membri si sono dimessi dopo un’inchiesta che ha svelato quello che sapevano tutti da duecento anni, e cioè che questa roccaforte di nostalgico segregazionismo era questo, una roccaforte di nostalgico segregazionismo. Un rifugio anche per la solita vecchia Inghilterra dei castelli tarmati, sempre più immaginaria, che cade giù pezzo dopo pezzo, con un governo ormai molto, come direbbe qualche lord molto razzista, “colored”, e mentre il fratello di lady Diana, il conte Charles Spencer, invece che cacciare la volpe dà alle stampe un memoir (di grande successo) in cui si lagna delle bullizzazioni subite da bambino nella solita scuola elitaria (e sdegnati lettori scrivono al Daily Telegraph: traditore della tua classe sociale!). 

 

Ma i tempi son cambiati, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Simon Case ha subìto una interrogazione parlamentare, e il capo dell’MI6 Richard Moore è stato inguaiato pure, e han dovuto lasciare il circolo, considerato alla stregua di una P2 non di golpisti ma di maschi bianchi.  Anche diversi giudici hanno abbandonato il riprovevole club. Ma adesso  forse torneranno. Non tanto perché il club abbia provato un improvviso slancio femminista ma perché si sono arresi allo spirito dei tempi, certamente giusto, ma che ha voluto infierire su questa oasi Wwf di vecchi tromboni. Un comitato di super avvocati in parrucca del resto ha scoperto che le norme originarie del circolo non proibirebbero davvero l’ingresso alle signore, perché il pronome “he”, lui, ai tempi valeva anche per “she”, lei. Vabbè. 

 

Chissà cosa direbbe il compianto Paolo Filo della Torre, leggendario corrispondente-gentiluomo, amico della regina Elisabetta, che mi portò a colazione al Garrick proprio dieci anni fa. Era fantastico, uno di quegli italiani che diventano più inglesi degli inglesi; mi accolse col Barbour impataccato e il capello tinto e l’aria rubizza di chi ha passato molto tempo tra sherry e forse le Shetland (o le Capannelle). Era l’ambasciatore del gruppo Repubblica a Londra – corrispondente del giornale e autore di diversi libri sui Windsor, amico di Bianchina Riccio e di Alberto Arbasino che lo chiamavano “il contino di Santa Susanna”, come del resto era il suo titolo. Ma soprattutto esperto di equitazione e collaboratore anche della rivista Cavallo, dunque invitato nel Royal Enclosure di Ascot, e caro a Sua Maestà. Era presente anche lui  al Garrick per il giubileo di Diamante della regina, mi raccontò, a cui la regina però in quanto femmina non era ammessa,  perché qui le signore potevano entrare appunto solo nella foresteria e al bar (per decisione recente della Corte suprema inglese; prima neanche). Filippo di Edimburgo era invece presidente onorario. 

 

Filo al nostro lunch indossava la cravatta del club romano della Caccia e non quella rosa a righine verdi (anzi “salmon pink and cucumber green”) del Garrick, che col suo parente romano è club corrispondente, se sei socio di uno puoi andare nell’altro, dormirci ecc.  Mi guidò nella magnificenza della sala di lettura, dopo esser saliti per la sontuosa scalinata di legno sotto  il migliaio di ritratti di attori celebri dell’Ottocento. Passammo tra molte statuette, miniature, ventagli, in apposite piccole bachechine: doni degli stessi soci negli anni. E in una grande biblioteca

 

Intorno a noi, gentiluomini che bevevano champagne e conversavano (ma giammai al cellulare, vietatissimo in tutto il club, c’è un telefono a gettone nell’atrio). Come alla Caccia, anche in questo gentleman’s club vige il sistema della palla bianca e di quella nera (la prima sanziona l’ammissione, la seconda la bocciatura) dei nuovi membri, e l’originale regola del 1831 era “that it would be better that ten unobjectionable men should be excluded than one terrible bore should be admitted”

 

Filo era all’epoca l’unico italiano socio, neanche il vecchio ambasciatore d’Italia Amaduzzi ne faceva parte. Lui era membro invece dell’Athenaeum: dove gli venivano recapitati per corriere diplomatico certi sigari cubani che Fidel Castro mandava al Quirinale con regolarità. Da quando aveva conosciuto nella famosa visita di stato in Italia del novembre 1996 Marianna Scalfaro, figlia dell’allora presidente della Repubblica (poi con afterparty da Gianni Agnelli di fronte). Fidel era rimasto molto molto colpito dalla fanciulla, e da allora inviava regolarmente questi sigari, che al Quirinale però nessuno fumava, e venivano dunque rispediti per corriere diplomatico all’ambasciatore Amaduzzi a Londra, che ne era appassionato.

 

Il bello di questi club è che ti prendono pure la posta e i pacchi, anche quelli non inviati da autocrati cubani: dunque appena entrati nel palazzetto al 15 di Garrick Street c’è una rastrelliera per inviti e lettere che qui vengono recapitati, e l’occasionale visitatore può spiare con spirito da voyeur le buste con delle HRH stampate sopra, anche per molti reali arabi  soci. Poi, al pianterreno, dopo la reception e un corridoietto scricchiolante dove depositare bastoni, ombrelli, valigie, una porta a vetri a molla immette in un grande locale arioso, il bagno, dai dettagli deliziosi (spazzoline per le scarpe marca Kent, water di foggia navale), e lì mi ricordo molti signori che entrano ed escono molto disinvolti dalla porta a molla tipo saloon, e conversano amabilmente facendo la pipì mentre sorridono e ascoltano e chiacchierano, e anche dirigendo il getto un po’ sui piedi del vicino che però non protesta perché abituato e a sua volta concentrato sulla conversazione – e poi fuori, verso il ristorante, forse senza neanche lavarsi le mani. 

 

Qui il maître (italiano), venne subito a omaggiare “il conte”, che chiedeva se c’era della cacciagione (c’era). Le  carni succulente vennero servite con una salsa béarnaise nei piatti di porcellana col  motto del club, “All the world is a stage”, perché siamo tra gente di teatro – inciso anche  sui calici di cristallo. Le posate d’argento, lucide e pesanti, invece non hanno stemma e poggiano su tovagliette di lacca, quadrate, verdoni, grandi poco più del piatto. Come antipasto c’erano asparagi, verdissimi, e buonissimi, su un lettino di sale grosso. Una signorina bionda e minuscola che sembrava uscita da “Downton Abbey” come tante facce dickensiane che lavoravano lì  venne a spazzolare le briciole dalla tovaglietta. 

 

Hugh Bonneville, che è il  Lord Grantham della serie,  è naturalmente socio del Garrick e si era pure candidato alla presidenza, ma senza successo. Quel giorno però non c’era. Studiammo bene invece la tavola sociale, un lungo tavolone  a cui i membri sono tenuti a desinare quando sono senza ospiti, collocandosi ordinatamente dall’estremità sinistra a quella destra, riempiendo mano a mano tutti i posti. Ci si siedono sempre, mi disse il conte di Santa Susanna, sia  Filippo di Edimburgo che l’allora principe Carlo.  Ma dopo il  Garrick, ci si chiede quanti altri circoli esclusivamente maschili – come la Caccia di Roma – cambieranno politica.  Le donne comunque si dimostrano sempre superiori. A Milano recentemente ha aperto il “Core”, club privato fondato da due signore che hanno lasciato i rispettivi mariti e si sono sposate tra di loro. Gli uomini  però sono ammessi lo stesso.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).