Contrasti

L'ecologista rigido che trasforma ogni discussione in una pièce dell'assurdo

Antonio Pascale

Dialogare con una persona che si professa ecologista è difficile. Si è d'accordo sugli obiettivi, ma non sugli strumenti e i metodi con cui raggiungerli. L'esempio degli agrofarmaci per difenderci dagli agenti patogeni

Quando discuti con una persona che si professa ecologista sei contento. Nel bel mezzo della discussione ti accorgi che sei d’accordo su tutto: cambiamento climatico? Sì, certo. Sostenibilità (qualunque cosa voglia dire), ovvio, assolutamente sì. Poi, all’improvviso ci scontriamo su tutto. La crisi, il divario, il baratro, si forma quando cominciamo a parlare di strumenti. Perché, anche questo è ovvio, siamo d’accordo sugli obiettivi, ora passiamo alla fase due, la risoluzione del problema grazie agli strumenti. Ovvio, no? E invece no. Appena elenchiamo gli strumenti, cambia tutto. Il massimo di questa insana divisione la potete notare nel settore agricolo. Il settore agricolo – lo dico per gli aspiranti drammaturghi – fornisce materia adatta per mettere su una pièce dell’assurdo, che – lo dico a futura memoria – vince di sicuro il prestigioso premio Ubu.
 

Vogliamo fare un esempio? L’agricoltore ha un problema e da sempre. Perché diciamoci la verità, stavamo meglio quando eravamo raccoglitori: eravamo pochi, 4/5 milioni in tutto il globo, tendevano a essere magnanimi e a dividere equamente le risorse, ma tant’è. Comunque, da quando abbiamo cominciato a piegare la schiena nei campi, per piantare il mais sopra l’altopiano, come diceva il compianto Claudio Lolli, ci siamo trovati di fronte a un problema: non siamo soli nell’universo agricolo. Ci sono i patogeni. Questi patogeni attaccano. Prima erano di meno, e comunque subivano le limitazioni territoriali, erano patogeni sovranisti, sarebbero piaciuti a uno fissato con i confini e la purezza, ora si diffondono dappertutto. Del resto, noi facciamo i reel per mostrare le bellezze del mondo? E i patogeni si prendono un passaggio. Bene. Quando parliamo di sicurezza alimentare e di sprechi, parliamo anche di patogeni, un cibo contaminato può far danni. Pure il cibo che rimane sulla pianta è sprecato, non solo quello che buttiamo perché non ci va più la pasta. Quindi un agricoltore ha il dovere di combattere i patogeni. Solo che ha cominciato a farlo da poco, nel XX secolo. Prima, non avendo strumenti, ci si limitava a pregare qualche santo. Quindi mangiavamo poco e male. Poi sono arrivati alcuni strumenti chimici e tutto è cambiato, siamo entrati nel mondo dell’abbondanza. Ma ecco il problema, l’inquinamento.
 

Risolviamo? Certo. Ma qui le strade si dividono, il verde dice una sola parola: biologico. Tu rispondi sono d’accordo. Infatti, gli agrofarmaci (si chiamano così) sono molto migliorati, meno invasivi, più precisi, sono più biologici. Loro rispondono: biologico. Ho capito – dici – ma biologico non significa non usare niente. Purtroppo, ’sti patogeni non sanno leggere le brochure ecologiste. Loro rispondono biologico. Ok – tu dici – ma è sempre una molecola chimica che attacca il patogeno. Loro dicono, sì, ma le nostre molecole sono biologiche, cioè naturali. Ma la molecola naturale deve essere prodotta in serie, controllata, testata, miscelata con coadiuvanti, insomma è un artificio (per fortuna). Ci vuole pur sempre un’industria chimica. Se no andiamo nei campi, prendiamo quella bella ombrellifera da cui si ricava la cicuta e diciamo che è naturale: ma chi se la beve? Ma loro insistono: biologico. Allora tu dici: scusa, troviamo la quadra, il vero bio è quello biotecnologico, con le biotecnologie puoi selezionare con estrema precisione piante che si difendono da sole contro i patogeni, abbassando di molto le dosi di agrofarmaci, per non parlare delle piante attrezzate con la siccità, ecc. Loro per un po’ non dicono niente: ti guardano come se fossi il simbolo ancestrale della corruzione, e dicono: multinazionali. Ma no – rispondi – se togliamo il blocco della ricerca, questi prodotti li faranno le università, hai presente quanti progetti meravigliosi ci sono nei laboratori che non possono essere testati perché Capanna, faccio per dire, non vuole. Allora loro dicono: biodinamico e qui però in genere finisce a schifio, oppure prepari questa famosa pièce beckettiana sperando di vincere l’Ubu, e ritirati in campagna con un piccolo orto biologico che utilizzi sono tu e del resto del mondo te ne freghi.

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