Chiara Ferragni - Screen da Instagram

Ascesa e discesa

La parabola Ferragni: il popolo l'ha voluta, il popolo l'ha scannata

Ginevra Leganza

L'influencer è il riflesso dei desideri più italici, e dunque più provinciali, quelli di finte bionde e di cinghie marcate. Ma mentre la beneficenza svelava sé stessa in forma di ricatto, il follower svelava sé stesso nella sua natura di babbeo

Il popolo l’ha creata, il popolo le ha creduto. E sempre il popolo – sempre lui – l’ha cresciuta e finalmente scannata. Come si fa con l’agnello. È la fiaba di Chiara Ferragni, la cui carrozza torna zucca adesso che è indagata per truffa nell’ambito dell’indagine sul pandoro Balocco. Dapprima fata, poi bella addormentata che nell’Instagram non batte più un colpo… Se non era la più bella, Chiara Ferragni era comunque la più carina. O forse quella che in questa fiaba transnazionale interpretava persino il ruolo dello specchio (del paese, della nazione, delle sue brame). Ovvero il riflesso dei desideri più italici, e dunque più provinciali, quelli di finte bionde e di cinghie marcate. Perché il popolo l’ha creata, a sua immagine e somiglianza (e dunque parata a festa) e il popolo l’ha voluta (tra pannolini e borsette sui quali lui, avendoci i soldi, si sarebbe fiondato). Ma fatto sta che al quanto e come, in mezzo ai cani e ai mariti al guinzaglio, il pandoro – questo popolo – non l’aveva considerato. E mentre la beneficenza svelava sé stessa in forma di ricatto (un pandoro come un obolo per il paradiso), il follower svelava sé stesso nella sua natura di babbeo: un vago accenno ai “bimbi malati” e subito si pagava il pedaggio per la bontà (bontà sua!). 

 

 

Ed eccoci infine al punto. Ovvero al follower che, incazzatissimo, scanna l’agnello. Ai Ferragnez con la scritta “Attenti ai borseggiatori” pittati a Padova dal muralista EvyRein; all’account Instagram inzaccherato di insulti (“il sentimento delle conversazioni è assolutamente negativo”, scriveva SocialData analizzando le reazioni all’indomani del fattaccio); a Safilo e Coca Cola che interrompono accordi commerciali e ai TV talk che s’aggiungono alla canea delle giornaliste più vipere. Eccoci al punto ed eccoci ancora al popolo. E cioè all’essere informe che l’ha creata, che le ha creduto, che l’ha cresciuta… Che l’ha adorata come un vitello e già la scanna come un agnello. Perché il popolo – che con la P maiuscola è pure protagonista di una commedia di Aristofane che alla community ci assomiglia – è un essere di stupidità intermittente. In altre parole, è uno stupido, ma non lo  vuole tanto sapere: e quando lo sa, dacché va a letto coglione, capita che si risvegli leone. Perché è piuttosto un essere informe, che cambia forma, e che – sempre Aristofane – aspetta solo il momento giusto per malmenare i “disonesti” (pure ad Atene c’era questa cosa talebana dell’onestà: e va bene l’ur-fascismo ma chissà se qualcuno scriverà mai dell’ur-grillismo). Comunque, si sa che la folla di malmenare ha sempre una certa fregola. E dunque: se non ora, quando? Quando punire, se non ora, la Chiara che è bella pasciuta (nonché gonfia di buone intenzioni)? 

 

 

E se poi questa più che una fiaba è proprio una favola, lasciate perdere il lieto fine: consentiteci la morale –  è il momento. O, come dire, qui si parrà la nostra nobilitate. Giacché è qui che si distinguerà chi all’albero caduto darà d’accetta e chi no. Chi, da leonessa, infierirà ad Atreju e chi – improbabile vitellone – quell’agnello lo difenderà in radio. Tradotto: è qui che si distingueranno, per altre vie, i Meloni dai Salvini (col bene che arriva sempre da chi meno te l’aspetti, mica dalla beneficenza). Ché poi, Chiara Ferragni andava trattata senza pietà prima, non dopo. E cioè ieri che era ancora il vuoto cosmico nelle mani del mercato e non oggi che il mercato abbandona il vuoto cosmico al suo destino. Non ora che la carrozza ritorna zucca e la principessa ha tutta l’aria da pollicina. Ma appunto, è qui che si parrà la nostra nobilitate: se siamo leonesse o siamo vitelloni (comunque indulgenti); se siamo uomini o siamo animali. In altre parole, se siamo signore o siamo selvagge.

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