Padova - foto Ansa

L'analisi

La guerra per il potere non si vincerà predicando rispetto ed esaltando i diritti

Lucetta Scaraffia

La nuova frontiera della guerra sessuale e i rischi di chi, spacciandosi sostenitori del femminismo, promuove le idee del gender negando l'essenza stessa delle donne

Non c’è mai stata una guerra legata all’identità sessuale fra gli esseri umani così aspra come quella che si combatte oggi. Una guerra  durissima ma della quale non si parla volentieri nei suoi termini veri. Una guerra che fa purtroppo anche morti: Giulia è una di queste vittime.

È una lunga storia. Nessuno ricorda volentieri, ad esempio, che le suffragette inglesi, le quali hanno combattuto per il voto alle donne nel loro paese, ma ben consapevoli che esso si sarebbe poi esteso a tutto il mondo democratico, sono state incarcerate e anche torturate in modo orripilante con l’alimentazione forzata. Questa guerra di potere – perché di questo essenzialmente si tratta, è inutile travestirla da marcia del progresso per i diritti umani e l’eguaglianza – si sta combattendo ancora oggi, nonostante le perdite secche che le donne hanno inflitto agli uomini nel secolo scorso. Sì, oggi le donne studiano più e meglio degli uomini, fanno carriera – seppure ancora troppo poche e a parità di ruolo sempre pagate meno di essi – e in Italia  abbiamo perfino una presidente del Consiglio donna: ma in politica nel complesso le donne contano ancora poco, e lo stesso  nei ruoli decisionali veramente importanti.

Intanto le donne fanno pure i bambini (anche se sempre di meno) – si occupano della casa, delle cure agli anziani e ai malati. Agli occhi degli uomini la cosa più fastidiosa è che, sebbene con estrema fatica, esse riescono a fare tutto. Proprio per questo la guerra vera e dagli esiti più drammatici si combatte all’interno dei rapporti di coppia e va ben al di là della divisione egualitaria del lavoro domestico. Il vero lavoro delle donne nella coppia e in famiglia, infatti, è sempre stato quello di dare un senso di potere, di forza, al compagno/marito/padre/fratello, sostenendo tutti ma al tempo stesso fingendo debolezza per non allarmare nessuno di loro. In ogni caso rinunciando a se stesse, alle proprie esigenze, ai propri progetti, pur di rafforzare i maschi di famiglia che, soprattutto se fragili, ce la fanno solo se una donna si immola per loro. Ma se la donna che hanno accanto e  si occupa della loro vita va più avanti di loro negli studi e nel lavoro, e soprattutto se dimostra di poter fare a meno di loro, a quel punto, allora,  essa diventa nella loro mente una strega castratrice. E la tensione diventa così alta che i più fragili – che spesso anche se non sempre sono i più violenti e prepotenti – arrivano alla violenza, all’omicidio.

È sufficiente inasprire le pene per evitare l’ecatombe di queste donne di valore e coraggiose? È sufficiente l’“educazione al rispetto e alla affettività” nelle scuole? Ne dubito fortemente. I rapporti fra donne e uomini si imparano soprattutto dalle esperienze di vita, e in primo luogo dagli esempi che si hanno all’interno della famiglia. Sono i padri, i nonni, gli zii a fare veramente scuola, sono loro a educare (e da educare).

Del resto non funziona come pressione educativa neppure la fioritura di serie televisive in cui le donne comandano, assicurano alla legge i criminali, sono celebrate come combattenti per la libertà e la giustizia. Sono le serie che piacciono soprattutto alle donne, specie se anziane, le quali  vi assaporano una rivincita. Ma in realtà la guerra continua nonostante queste vittorie, o forse proprio a causa di queste, e prende nuove forme che tuttavia non si presentano più nella forma dello scontro frontale (se escludiamo naturalmente i paesi in mano agli islamisti: ma avete notato quanto poco si dice e si fa per contrastare questa oppressione?). Il nuovo fronte di guerra è quello aperto da una pressione culturale per ora purtroppo vincente che sembra far breccia soprattutto fra i giovani. La pressione culturale che mira alla distruzione dell’identità di genere predicando che in realtà le donne non esistono perché esistono solo persone con l’utero. 

Negare che esistano le donne – paradossalmente quando proprio in quanto tali esse vengono ammazzate – significa per gli uomini un indubbio vantaggio: li libera infatti del problema di doversi misurare con fidanzate, mogli, compagne, sorelle e figlie.  Se le donne non esistono, infatti, non esiste neppure il problema, il loro problema. Sul piano teorico si compie la stessa operazione commessa in forma criminale dall’ex fidanzato nei confronti di Giulia: si cancella l’identità diversa  per cancellare il confronto con essa ed evitare l’angoscia dell’eventuale sconfitta.

Il capolavoro ideologico dei sostenitori del gender è stato quello di accreditarsi come alleati del femminismo, di spacciarsi per tali, in modo da cancellare ogni traccia del loro vero obiettivo, che è quello di negare l’esistenza delle donne, delle donne reali in carne e ossa, delle donne in quanto tali. Infatti se le donne non esistono allora non sono più le odiate rivali che stanno superando gli uomini in tanti campi del sapere e della vita sociale, non sono più loro a dire che possono fare a meno degli uomini. Esse sono concettualmente neutralizzate, virtualmente nullificate: e dunque non rappresentano  più alcun  pericolo per l’autostima maschile.

Oggi accade insomma che la differenza sessuale delle donne – sbandierata per millenni per giustificare la sottomissione femminile – essendo invece diventata fonte di orgoglio e qualche volta perfino di privilegio, allora essa viene negata, cancellata e proprio dai suoi apparenti sostenitori. Se non riusciamo a leggere in questa nuova guerra  quello che rappresenta, cioè l’altra faccia del conflitto contro le donne, se non riusciamo a collegare la negazione del genere con la morte di Giulia, significa che non abbiamo capito niente e che quindi alla fine non otterremo niente. Predicare il rispetto, esaltare i diritti, appaiono davvero rimedi ridicolmente deboli davanti alla guerra per il potere che è in corso. Una guerra vera, dura, che non cessa di contare i suoi morti: anzi, le sue morte.

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