Negli ultimi decenni si è assistito a una proliferazione delle politiche penali di contrasto alla violenza di genere senza precedenti, ma il numero dei femminicidi è rimasto sostanzialmente stabile. L’unica prevenzione possibile è l’educazione sentimentale
La morte di Giulia segna un punto di svolta nel discorso pubblico sul femminicidio. Per la prima volta si conviene sul fatto che l’obiettivo di annientamento della vittima sopravanza, nella mente dei maschi assassini, qualunque valutazione sulle conseguenze del gesto. La dinamica di questa tragedia, del resto, lo conferma. La premeditazione, qualora provata, e la stessa fuga non vogliono dire che Filippo abbia mai realisticamente pensato di farla franca, o che abbia sottovalutato ciò che lo attende. Un giovane di ventidue anni ben istruito, che vive in un contesto sociale evoluto, sa bene a che cosa va incontro. Se uccide lo stesso, lo fa perché il suo bisogno di punire è più forte di qualunque controllo delle emozioni distruttive e di qualunque convenienza razionale. Ciò vale a dimostrare che la sanzione penale non ha un effetto deterrente su un fenomeno che ha un’incidenza relativa crescente nella casistica omicidiaria del nostro Paese. Perché negli ultimi tre decenni i delitti attribuibili alla criminalità si sono fortemente ridotti in valore assoluto, mentre i femminicidi sono rimasti sostanzialmente stabili. Ma ciò vale anche a smentire l’efficacia delle politiche penali di contrasto perseguite fin qui, che pure hanno conosciuto una proliferazione normativa senza precedenti.
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