Katrín Jakobsdóttir - LaPresse

Il paradosso

Lo sciopero delle donne in Islanda per la parità salariale e l'assurdità del caso italiano

Giulia Casula

Mentre nel primo paese per uguaglianza di genere le donne protestano per la disparità retributiva, da noi i bassi salari finiscono per mascherare il divario nelle paghe di lavoratori e lavoratrici

Le donne d’Islanda scioperano per la parità salariale e contro la violenza di genere. La protesta di oggi è stata organizzata da più di 30 sigle, con il sostengo della stessa prima ministra Katrín Jakobsdóttir. A incrociare le braccia è la metà di un paese che, stando al report annuale del World Economic Forum (Wef), si trova al primo posto della classifica che misura la parità di genere nel mondo con un indice del 91,2 per cento. Una posizione che Reykjavík occupa da 14 anni consecutivi, tanto da averle fatto guadagnare il titolo di “paradiso della parità di genere”. Proprio per questo motivo, l’Islanda si sente in dovere di “rispettare le aspettative” del resto del mondo e mantenere alta la sua reputazione, come ha ribadito Freyja Steingrímsdóttir una delle organizzatrici della protesta. La portavoce ha osservato che in un paradiso dell’uguaglianza le donne non dovrebbero guadagnare il 21 per cento in meno degli uomini, né il 41 per cento di loro dovrebbe aver subito violenza nella propria vita. Da qui lo slogan dell’iniziativa “Questa la chiamate uguaglianza?” con cui le donne islandesi intendono rivendicare i loro diritti, richiedendo l’obbligo di pubblicare gli stipendi di settori come quello assistenziale e delle pulizie, generalmente a maggioranza femminile e spesso sottopagati. Oltre 25.000 persone sono attese nella capitale, dove si terrà l’evento più importante. L’obiettivo dello sciopero è dimostrare che senza metà della popolazione tutto si ferma, che il lavoro e la sicurezza delle donne riguarda tutti. 

 
Ben lontana dall’Islanda, l’Italia si posiziona al 79mo posto dell’indice globale sulla parità di genere del Wef. Eppure, se si guarda ai dati della Commissione europea sul gap retributivo, l’Italia con il 4,2 per cento sembrerebbe classificarsi meglio sia dell’Islanda che della media europea (13 per cento). In realtà, numeri dell’Eurostat alla mano, si potrà presto notare che il Gender overall earnings gap, il quale include non solo retribuzione oraria media, ma anche media mensile del numero di ore retribuite e tasso di occupazione, fa salire il divario italiano al 43,1 per cento, il più basso in Europa. La stessa Commissione osserva inoltre che un "gender pay gap più basso in alcuni paesi non significa necessariamente che il mercato del lavoro in quel paese sia più equo dal punto di vista del genere". Il 4,2 per cento dell’Italia, per esempio, potrebbe imputarsi al fatto che in generale, come rileva anche l’Istat, i lavoratori italiani guadagnano meno dei colleghi europei. Il paradosso insomma sta tutto qui, nei bassi stipendi degli italiani che finiscono per alleggerire, almeno apparentemente, il carico della disparità salariale.

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