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Cattivi scienziati

Prima di cambiare la lingua, bisognerebbe cambiare gli stipendi delle donne

Enrico Bucci

L’Italia è scesa nel “gender gap score” dal 63esimo al 79esimo posto al mondo. Più che della schwa, è ora di preoccuparsi della disparità di genere nel trattamento economico e dell’irrilevanza femminile nella politica

Nel 2006, il World Economic Forum ha introdotto una misura standardizzata per quantificare la differenza di trattamento e di condizioni fra donne e uomini, nazione per nazione: il cosiddetto “gender gap score”, una percentuale che, almeno nelle intenzioni, consente di valutare quanto sia pari il trattamento per individui dei due sessi, a parità di ogni altro fattore. Questo punteggio permette sia di paragonare fra loro nazioni diverse per cultura e legislazione, sia di seguire, anno per anno, l’evoluzione di una stima almeno approssimativa della parità fra i sessi, potendo così valutare se un dato paese peggiora o migliora nel tempo. A meno degli inevitabili difetti di ogni metrica, il “gender gap score” introduce un modo obiettivo di pesare l’equità nell’allocare risorse, diritti e opportunità in ogni nazione; e visto che, almeno fino ad oggi, nessun paese raggiunge un punteggio di 100 per cento, corrispondente ad una perfetta uguaglianza, esso riflette il persistere della più significativa ingiustizia su scala globale – più significativa perché più diffusa nel mondo e perché riguardante una categoria che non è possibile nemmeno definire minoranza, ovvero le persone di sesso femminile.

 

Come non ha mancato di sottolineare al Festival della Parola, a Parma, Antonella Viola, il nostro paese, già messo male, peggiora quest’anno ulteriormente, passando dal 63° al 79° posto in una lista di 146 paesi per cui si hanno dati. In quanto a parità fra i sessi, e quindi a giustizia ed equità, risultano meglio del nostro paese anche Etiopia (75° posto), Kenya (77° posto) e Uganda (70° posto); e se si voglia tenere in giusta considerazione il tasso di errore sulla stima del parametro, si potrà comunque osservare che al posto 64°, ben oltre quindi il tasso di errore che potrebbe rendere non significativa la differenza con l’Italia, siede il Botswana, oppure, volendo risalire ancora la classifica, al 25° posto si trova il Mozambico. È ovvio che in quei paesi, in media, si viva peggio che in Italia; ma l’iniquità tra i sessi in culture che siamo abituati a considerare patriarcali più della nostra risulta comunque molto minore, e non sfuggirà quindi al lettore il problema insito nel fatto che nella maggior povertà in cui si vive nelle nazioni citate, nonostante tutto, vi è una più dignitosa considerazione del cosiddetto sesso debole, con una molto più favorevole parità di genere. Il Global Gender Gap Index è calcolato tenendo presente i divari di genere dei paesi inclusi nella classifica secondo quattro dimensioni: opportunità economiche, istruzione, salute e leadership politica. È possibile, quindi, esaminare quali di queste dimensioni pesino di più nel trascinare il nostro paese in basso nella classifica.

 

Con una parità del 69,7 per cento in Partecipazione economica e Opportunità, l'Europa è al terzo posto dietro al Nord America e all'Asia orientale e al Pacifico in questa dimensione. La parità di genere è diminuita di 0,5 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Norvegia, Islanda e Svezia hanno la più alta parità in termini di partecipazione economica e opportunità, mentre Italia, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina hanno la più bassa. Globalmente, considerando tutti i paesi e non solo l’Europa, l’Italia è messa piuttosto male, trovandosi al 104° posto in quanto a questa classifica, con un punteggio di 0,618 contro 0,895 del primo classificato. È anche al 95° posto in classifica in quanto a diritto alla salute, ma qui i punteggi sono molto più appiattiti, con 0,967 dell’Italia contro 0,98 del primo classificato; stessa cosa vale per il diritto all’istruzione, dove l’Italia è sì al 60° posto, ma con un punteggio di 0,995 (quasi parità) contro 1 del primo in classifica. Dove le cose sono disastrose è nel campo del peso politico: l’Italia è al 64° posto, con un punteggio misero di 0,241, contro 0,901 del primo classificato. Il quadro che emerge è dunque piuttosto chiaro: la situazione per le donne nel nostro paese è in peggioramento, con una notevole disparità di trattamento economico e, soprattutto, con una irrilevanza politica disastrosa, nonostante il capo del governo e quello dell’opposizione siano entrambe di sesso femminile. La voce delle donne e il loro stipendio: questo è il fronte dove è necessario che le cose siano davvero cambiate, questo è il punto di rottura dove la protesta deve essere davvero indirizzata.

 

Naturalmente, il discorso può essere ampliato ben oltre gli indicatori del World Economic Forum: la diffusa cultura sessista, di cui proprio la mia comunità, quella accademica e scientifica, è portatrice in modo particolarmente vergognoso, nonché la violenza contro le donne, non sono direttamente catturate da quegli indicatori, ma contribuiscono ad aggravare il quadro. È ora di preoccuparsi molto di più che non della schwa per indicare rispetto nei confronti della preferenza di genere: molto prima di arrivare alla parità linguistica, e senza anzi la necessità di certe buffonate verbali e di certi revisionismi tipici della cancel culture, bisogna pensare a stipendi e potere democratico di una metà dei cittadini italiani che è tenuta ai margini da una cultura arcaica e controproducente. Mia madre ed io dibattevamo di questo stesso punto 30 anni fa; nulla è cambiato, ed anzi la situazione è peggiorata, a giudizio di istituzioni economiche che certo non possiamo definire portatrici di controcultura o interessi femministi; è ora di un risveglio di tutti, nella coscienza di quanto continuiamo a perdere, bloccando stupidamente in un recinto di pregiudizio e sopraffazione culturale, economica e di potere almeno metà delle energie del nostro paese.

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