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Fenomeni demografici

Se l'occidente è morente, il mondo non se n'è accorto. A dirlo sono i numeri

Roberto Volpi

I flussi migratori rappresentano spostamenti territoriali che decidono la vita delle persone e raccontano una verità poco nota. I dati degli ultimi dieci anni

Forse siamo alla morte dell’occidente, e se non proprio alla morte al tramonto, e se non proprio al tramonto al declino. Insomma, a qualcosa di irreparabile che attiene al nostro mondo. Al riguardo il pensiero di alcuni, se non proprio di tutti, tra i più grandi filosofi del nostro tempo copre una gamma di gradazioni che non sconfina mai in territorio positivo. A sentirli, per l’occidente non è che una questione di tempo o, se non lo è, se  la sfangasse, è perché non è più lui, non è più l’occidente che conosciamo e nel quale ci riconosciamo.

Forse. Ma non è detto che sia così. Se guardiamo ai flussi migratori sembra di poter concludere, anzi, che non è così. Ora, si dirà che i flussi migratori rappresentano un fenomeno troppo limitato per poter sperare di ricavare da essi un giudizio che abbia una fondatezza incontestabile. Ma, se ci si pensa, oltre a rappresentare grandezze oggettive (o quasi, perché non che le fonti statistiche di un po’ di paesi non occidentali abbiano in tema di migrazioni un grado di attendibilità del cento per cento), i flussi migratori hanno una fortissima valenza valoriale. Rappresentano infatti spostamenti territoriali che decidono la vita delle persone, e non spostamenti da qui a lì, bensì da un paese a un altro anche molto lontano, e più ancora da un continente a un altro continente, da ambienti di vita di un certo tipo ad altri di tutt’altro e perfino opposto tipo di vita. Hanno un carattere di decisività e definitività molto alto che segna per sempre la vita delle persone. Bene, si lascino pure perdere le previsioni, delle quali si può sempre dire che chissà se si avvereranno. E pure il passato, del quale si può a buona ragione dire che non è detto che si ripeta. Si prendano gli ultimi dieci anni, anni vicini, anni che sono l’oggi per quel che riguarda i fenomeni demografici. Abbiamo fatto i conti, servendoci dei “World Population Prospects 2022” della Population Division dell’Onu e arrivando a questi risultati principali.

Primo risultato: negli ultimi dieci anni 30,1 milioni di persone hanno cambiato paese e/o continente, a una media di tre milioni di persone l’anno. Possono sembrare poche su una scala mondiale, ma si tenga conto del carattere spaziale di queste correnti migratorie e del fatto che queste cifre rappresentano dei saldi tra quanti vanno e quanti tornano. Se per ipotesi in un paese/continente entrano un milione di persone ma 900 mila se ne vanno nel nostro conteggio appare un saldo di 100 mila (che sarebbe stato di – 100 mila a poste invertite).

Secondo risultato. Negli ultimi dieci anni, l’Africa ha perso nel movimento migratorio 6 milioni e 143 mila abitanti. L’Asia ha perso 20 milioni e 386 mila abitanti. L’America latina e caraibica ne ha persi 3 milioni e 602 mila. Questo per quanto riguarda i continenti che hanno perso abitanti. Ne hanno invece guadagnati l’Europa: 13 milioni e 29 8mila; l’America del nord (della quale non fa parte il Messico): 14 milioni e 335 mila; l’Oceania 2 milioni e 514 mila, al gran completo imputabili ad Australia e Nuova Zelanda. A proposito di questo secondo risultato dobbiamo intanto correggere un’impressione: non siamo stati invasi dagli africani, semmai, se proprio si dovesse mettere l’immigrazione nella luce dell’invasione, dagli asiatici. E, poi, che il mondo sarà pure diventano multipolare ma le migrazioni sono a senso unico e vanno da un polo che non è l’occidente – Africa, Asia, America latina e caraibica – a un altro che invece lo è: Europa, America del nord, Australia-Nuova Zelanda.

Terzo risultato. Se il discorso “occidente” non apparisse fino in fondo convincente, si consideri (a) che dei 13 milioni e 298 mila immigrati netti acquisiti dall’Europa, 10 milioni si sono stabiliti nell’Europa del nord e in quella occidentale, ovvero nell’occidente dell’occidente europeo; (b) che il solo Giappone ha un movimento migratorio positivo nell’Asia dell’est, del sud e sud-est – vale a dire il solo paese “occidentale” nell’Asia sicuramente non occidentale.
 

Quarto risultato. Che i movimenti migratori non mentano, ma rappresentino in modo soddisfacente la realtà socio e geopolitica si capisce bene osservando come (a) il paese con la più grande perdita migratoria, un quinto della sua popolazione, sia stato nel decennio la Siria; (b) il Venezuela della più grande violenza politica abbia segnato una perdita migratoria di 4,7 milioni di abitanti che supera quella di tutto il continente latinoamericano; (c) la Cina  sia riuscita a silenziare la meno silenziosa megacity del mondo: negli ultimi tre anni a Hong Kong zero  immigrati e zero emigrati. 

Conclusione: se l’occidente è morente, il mondo indiscutibilmente non se n’è accorto. Ma è molto più probabile che goda ancora di un accettabile grado di salute.

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