Quanto pesa sull'inflazione americana la mancanza di migranti

Maurizio Stefanini

Negli Stati Uniti ci sono invece due milioni di immigrati in meno rispetto a quelli che ci sarebbero stati se il loro arrivo non fosse stato fermato quasi del tutto per i 18 mesi della pandemia. La mancanza di manodopera ha provocato interruzioni in una filiera già duramente colpita dall’aumento dell’energia e delle materie prime

Negli Stati Uniti l’inflazione aumenta non solo per i contraccolpi causati dall’interruzione della supply chain, iniziata con la pandemia e aggravata dalla guerra, come indica il presidente Biden. Per tamponarla, il governo americano ha varato un pacchetto di misure che include immissione di petrolio, investimenti nelle rinnovabili, riforma dell’Obamacare, riduzione dei prezzi dei medicinali di base, incentivi alla produzione alimentare, riduzione del deficit federale con più imposte per miliardari e grandi imprese.

 

Ma non è bastato e non per conseguenza dei 1.900 miliardi di dollari del pacchetto di aiuti anti Covid voluti dallo stesso Biden, come accusano i repubblicani. Secondo molti analisti, anche la carenza di manodopera immigrata contribuisce a un aumento dei prezzi che negli Stati Uniti è il più alto degli ultimi 40 anni. Cioè, dai tempi della crisi petrolifera provocata dalla guerra del Kippur. Allora fu la decisione dei paesi arabi di aumentare i prezzi del greggio per fare pressione sull’occidente contro Israele: da 3 a 5 dollari al barile il 16 ottobre 1973, e a 11,65 a dicembre. Un quadruplicarsi dei costi dell’energia che colpì a fondo un sistema produttivo abituato al petrolio a buon mercato.

  

Secondo un calcolo fatto da Giovanni Peri, un economista perugino che dirige il Global Migration Center al Department of Economics della University of California, Davis, adesso ci sono invece due milioni di immigrati in meno rispetto a quelli che ci sarebbero stati se il loro arrivo non fosse stato fermato quasi del tutto per 18 mesi dalla pandemia di Covid-19: e comunque il calo era già iniziato dall’inizio dell’Amministrazione Trump, proprio per la linea xenofoba dell’allora mandatario. La mancanza di manodopera ha provocato interruzioni in una filiera già duramente colpita dall’aumento dell’energia e delle materie prime, in una quantità di settori: dal processamento della carne all’edilizia. E l’inflazione è arrivata a marzo a un massimo dell’8,5 per cento su scala annuale, con un aumento dell’1,2 per cento solo tra febbraio e marzo. Il governo ritiene incoraggiante che sia poi discesa all’8,3 ad aprile, ma siamo ancora lontanissimi all’obiettivo del 2 per cento fissato dalla Federal Reserve. L’aumento dei prezzi è stato particolarmente pronunciato nei generi alimentari, e per  esempio una dozzina di uova è passata dai 2 dollari di fine 2021 ai 4 dell’aprile 2022. Un raddoppio in soli quattro mesi. 

 
Secondo tutte le ricerche, l’immigrazione starebbe ora tornando rapidamente ai livelli precedenti la pandemia. Potrebbe però non bastare, e col calo demografico degli ultimi 20 anni la previsione delinea uno scenario per il quale  la manodopera dovrebbe iniziare a ridursi già dal 2025. Quindi l’immigrazione dovrebbe essere addirittura incrementata per tamponare il crollo demografico. Un’idea del genere resta però impopolare nell’elettorato, e anzi una recente indagine Gallup mostra che la preoccupazione sull’immigrazione illegale è ai massimi da due decadi. Anche se i democratici in teoria sarebbero più disponibili, nella pratica non hanno promosso nessun  tipo di nuova legislazione che possa incoraggiare nuovi flussi. Specie con la scadenza a novembre delle elezioni di metà mandato, si sono divisi perfino sui tentativi dell’Amministrazione Biden di porre fine alle restrizioni sulle richieste di asilo occasionate dalla pandemia. Oltretutto il tratto di confine di terra più lungo da cui passano i migranti fa parte dello stato del Texas, il cui governatore Greg Abbott è ancora più anti immigrazione del governo federale, al punto che di recente ha mandato la Guardia nazionale a ispezionare la frontiera, e ha anche ordinato maggiori ispezioni nei porti. Al costo di rallentarne le attività.

  
Secondo l’ultimo censimento, la proporzione di popolazione statunitense nata all’estero è la più alta dal secolo XIX: il 13,5 per cento. Ma la recessione seguita alla crisi del 2007 aveva fatto venir meno la domanda di migranti, legali o illegali, e nel contempo il miglioramento dei livelli di vita in molti paesi dell’America Latina ha incentivato molti rientri. 

 

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