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Saverio ma giusto

Più inutili delle proteste contro Roccella sono le proteste contro le proteste

Saverio Raimondo

Chiarito il disaccordo nei confronti dei manifestanti per non aver lasciato parlare la ministra, la controparte non deve farla tanto lunga: ciò che è avvenuto a Torino è una delle cose più normali che possano succedere in democrazia

C’è un tempo per la protesta, e un tempo per la proposta. Ora siamo evidentemente in un tempo supplementare: si protesta per le proteste. Più inutili delle contestazioni al ministro Roccella al Salone del Libro di Torino (e ce ne voleva) sono state le contestazioni ai contestatori; con l’ennesima, stucchevole e italianissima gara a darsi del fascista a vicenda – in Italia “fascista” è un insulto talmente svuotato di significato che persino i fascisti lo usano per insultare chi non la pensa come loro. Chiarisco subito la mia posizione: come una celebre scritta post-sessantottina, io “sono marxista, tendenza Groucho”. Il quale – Groucho Marx, dico – nel film “Horse Feathers” (in Italia con il titolo “I Fratelli Marx al College”) canta i programmatici versi “Whatever It Is, I’m Against It”, di qualunque cosa si tratti, io sono contrario. Così per me: sono contrario alle idee e all’operato del ministro Roccella, ma sono altresì contrariato nel vedere un dissenso così importante come quello in difesa del diritto all’aborto e delle legge 194 manifestato in modo grossolano e inutile, se non addirittura controproducente. Bisogna sempre lasciar parlare i ProLife, in quanto sono i migliori argomenti a favore dell’aborto: appena una donna incinta sente parlare il ministro Roccella corre ad abortire per paura che sua figlia possa diventare come Roccella.

Chiarito il mio disaccordo nei confronti di quei manifestanti per non aver lasciato parlare il ministro, invito dall’altra parte a non farla tanta lunga: ciò che è avvenuto a Torino è la contestazione a un ministro, cioè una delle cose più normali che possano succedere in democrazia. Il ministro non ha potuto parlare in quell’occasione? Spiace, ma anche sticazzi. Viviamo appunto in una democrazia, dove le occasioni per esprimersi (analogicamente, digitalmente, nel caso di Roccella persino legislativamente) non mancano di certo. Secondo me, un minimo di impedimento alla libertà di parola ogni tanto serve, a tutti: ci aiuta a ricordarci che è un diritto prezioso e non scontato, da coltivare e rinnovare sempre. Gli ostacoli alla libertà di parola possono inoltre aguzzare l’ingegno espressivo; quello che, appunto, sembra essersi intorpidito nei contestatori di tutto il mondo (da segnalare l’eccezione Ultima Generazione, che proprio ieri si sono versati fango addosso davanti al Senato per sensibilizzare al dissesto idrogeologico: non so quanto sia “utile”, ma rispetto ai boomerang precedenti è un bel passo avanti).

Protestare è un diritto; ma dovrebbe essere un dovere trovare il modo efficace per farlo, per il bene della causa e non solo dei like. Sono anni invece che si manifesta il proprio dissenso in modo vecchio o ridicolo: quanto tempo è che una manifestazione non ottiene quello che chiede? Le proteste al Salone contro Roccella hanno sortito l’unico effetto di promuovere il libro del ministro: prima non tutti sapevano che Roccella avesse pubblicato un libro (io stesso non ne ero a conoscenza); ora invece, dopo la contestazione a Torino, lo sanno anche i feti con meno di 90 giorni. Il marketing è l’unico che ringrazia. La crisi della protesta è una delle più gravi che sta attraversando il nostro povero occidente; e ci riguarda tutti. Per venirne fuori avremmo bisogno di uno sforzo collettivo, un dibattito aperto, proposte appunto. Ma per lo più ci siamo ridotti a protestare contro le proteste: di questo passo avremo contestatori che interrompono altri contestatori, negazionisti del cambiamento climatico che tirano vernice contro gli attivisti ambientalisti, cortei contro i cortei. Piango per non ridere. 

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