Foto di Massimo Percossi, via Ansa 

il commento

Il caso Cospito e quell'anacronistica rivolta contro il capitalismo

Michele Masneri

Gli anarchici a Roma hanno dato alle fiamme cinque Fiat Fiorino della Tim. E poi c'è Favino, che si sente il Che e stacca il wifi per non essere vittima delle società telefoniche. Entrambi hanno capito poco il contesto

Destano sconcerto e preoccupazione gli attacchi anarchici e certo sconcerto e preoccupazione desta pure la sorte di un cittadino forse non così pericoloso e di sicuro in gravi condizioni come il povero Alfredo Cospito. Ma ormai tutto è contro di lui, la politica, la macchina dello stato, le elezioni regionali, le alleanze, il timing col Messina Denaro catturando. E pure i suoi sodali, però, soprattutto, che hanno pensato bene di incendiare dei fiorino della Tim in giro per Roma, cinque per l’esattezza. 

 

Così non aiutano. E spingono ancora più verso quella bizzarra strategia della fermezza che salta fuori saltuariamente in Italia tipo lapsus o gran coda di paglia in un paese celebre per essere mollaccione, che tratta da sempre su tutto e con tutti (come rilevava ieri su questo giornale Giuliano Ferrara). Senza contare che tutta quella fermezza costata la vita ad Aldo Moro non impedì al terrorismo Br di andare avanti (a Milano l’8 gennaio 1980 vengono uccisi i tre agenti di polizia Antonio Cestari, Rocco Santoro, Michele Tatulli. Il 19 gennaio 1980 a Mestre il dirigente della Montedison Sergio Gori. Il 12 febbraio 1980 a Roma Vittorio Bachelet, eccetera eccetera). 

 

E però pure ’sti anarchici dovrebbero un po’ aggiornarsi. I compagni anarchici infatti han dato alle fiamme cinque Fiat Fiorino della Tim lunedì notte a Roma. Con la motivazione che “Tim collabora attivamente al controllo sociale attraverso l’installazione della rete della fibra ottica, telecamere e braccialetti elettronici”. “Che lo stato assassino e i padroni sappiano che questo è solo l’inizio e più che una minaccia è una promessa”. Ma qui, si capisce, non siamo più in “Esterno notte” bensì in piena “Call my agent Italia”, e le proteste degli anarchici più che alla strategia della tensione ci portano direttamente a Pierfrancesco Favino.

 

Che nel remake in onda su Sky della serie francese, dedicata al mondo degli agenti dello spettacolo, fa impazzire la sua di agente perché non riesce più a dismettere i panni di Che Guevara, dopo averlo impersonato in una fiction. È proprio convinto di essere il comandante, e, oltre a vivere in mimetica nel giardino della villa di casa, impestare la famiglia del fumo di sigari puzzolenti, parlare ininterrottamente con un entusiasta Gianni Minà su una radiotrasmittente, sgrida la cameriera perché usa detersivi delle multinazionali e stacca il wifi per non essere vittima delle società telefoniche capitaliste; forse la sceneggiatura è stata scritta proprio dagli amici di Cospito.  

 

Ma benedetti compañeros, ma assaltare i fiorino della Tim convinti di colpire obiettivi del più bieco capitalismo significa aver letto troppo “capitalismo della sorveglianza” e Byung-Chul Han e troppo poco Flaiano, significa non capire el contesto, señora mia, in un país dove anche nella capitale non funziona non solo la fibra ottica ma manco l’Adsl, dove il furto e il reato rimangono analogici perché “’a telegamera era spenta” e il semaforo è settato sugli anni Cinquanta e il wifi è un sogno e ’er pos nun ha campo e siamo tutti col doppino di rame e col fax che se piove nun va (chi scrive ha provato più volte a richiederla la fibra ma niente, anche se lo scatolotto alberga già nel condominio. Al negozio ti dicono di chiamare online, online non ti dicono niente, la app non funziona).

 

Pensare alla Tim, ex Telecom, ex Sip, già società disastrata da decenni di disavventure finanziarie tra noccioli duri e molli e privatizzazioni e statalizzazioni, come avamposto del capitalismo globale fa tenerezza. E per rimanere in Sudamerica: compañeros anarchici, invece d’assaltare i fiorino della Tim (probabilmente parcheggiati in doppia fila), rileggetevi i reportage degli anni Settanta di V.S. Naipaul, con Montevideo abitata da “un milione di lavoratori, di cui duecentocinquantamila sono statali. La Pluna, la compagnia aerea uruguayana, aveva mille dipendenti e un solo aereo funzionante. I dipendenti dell’Ancap, la società petrolifera di stato, arrivavano in ufficio prima dell’apertura: c’erano più impiegati che sedie. Via posta non si fa nulla. Bisogna andare di persona. Il servizio è lento, ma gli utenti, sparsi tra fattorini e cani-poliziotto addormentati nell’atrio, non si lamentano: molti di loro sono dipendenti pubblici di altri dipartimenti, con tempo da perdere”. 
Insomma, dispiace para el señor Cospito, ma con questi anarchici si capisce che non vinceremo mai. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).