Foto di Quinten de Graaf, via Unsplash 

contro l'artificio

Oggi piace l'omone palestrato: un ritorno al passato

Costantino della Gherardesca

Pur di svincolarsi dal dominio della sofisticazione, il nuovo maschio vuole abbracciare un'immagine di sé stesso rozza e muscolare

Negli anni Ottanta e Novanta, Bobby Gillespie, batterista dei Jesus and Mary Chain e frontman dei Primal Scream, era bravo come musicista ma bravissimo come magro. Faceva di tutto per perdere quel centimetro in più di girovita necessario per infilarsi in dei jeans taglia 28, la stessa del giovane Mick Jagger. Credo che oggi ben pochi uomini guardino a Jagger come a un modello estetico: nessun maschio italiano vuol sembrare un efebo dinoccolato.

Nonostante la magrezza sia stata per interi decenni un obiettivo agognato da quasi tutto lo spettro delle identità sessuali, negli ultimi anni la popolazione maschile ha abbandonato il mito di un corpo come quello di Betty Catroux e, in cima alla propria lista dei desideri, ha piazzato la sagoma a trapezio rovesciato del bòro palestrato, un essere la cui prestanza fisica premoderna non è figlia della fatica come nel caso di un taglialegna dell’Ontario, ma della tecnologia sportiva e dei suoi sfavillanti attrezzi. Eppure, mentre si lascia schiacciare sotto il peso di una lat machine che ha più ingranaggi di un automa, l’Homo Italicus è convinto di sottrarsi al dominio della tecnica e della sofisticazione.

Tagliando i ponti con una fisicità come quella di Jagger, che loro ritengono artefatta e inautentica, queste torri di carne, questi kebab tatuati si illudono di ambire a una dimensione di nuova autenticità. E in questa grande confusione concettuale, l’uomo fa un salto indietro nel tempo. È un salto involutivo o un rigurgito di pulsioni ancestrali?

A mio parere l’ossessione muscolare dei nuovi maschi è il segnale d’allarme che preannuncia un’involuzione (prima) culturale e (poi) genetica.

Il ritratto di Dorian Gray dell’ambizione maschile, ovvero la rappresentazione del desiderio di quello che i nuovi maschi vorrebbero essere, sta a tutti gli effetti tornando indietro nel tempo. E non perché recupera le aberranti mode steroidee di qualche decennio fa, ma perché punta a un’idea di mascolinità (quasi certamente mai esistita) che ha ben poco a che fare con l’umano e abbraccia il regno animale.

Pur di svincolarsi dal soffocante abbraccio della tecnica, il nuovo maschio dimostra (soprattutto quando è in pubblico e in presenza di suoi simili) una preoccupante passione per il contatto con la natura, il trekking, l’esercizio fisico e – fase finale riservata agli oranghi gerarchi che si celano a Milano – il campeggio, vera e propria metastasi della mascolinità tossica. Tutto pur di prendere le distanze da quello che si ritiene artificiale. Tutto pur di eliminare dalla propria vita (e dal proprio organismo) ogni traccia di sofisticazione, a volte nella perversa convinzione che evitare di indossare un profumo lo farà sembrare Marlon Brando diretto da Elia Kazan.

Oggi il ritratto di Dorian Gray è diventato muscoloso, barbuto e peloso. Il giovane Jagger era artificiale e sofisticato: termini che un tempo incarnavano valori positivi, perché facevano intravedere un’idea di futuro, di progresso, di evoluzione. Il nuovo maschio, invece, si ritrova più nell’immagine rozza e muscolare che era ben incarnata da un grezzo come Robert Plant.
E questa involuzione non condiziona solo lo sviluppo dei bicipiti, ma anche quello del cervello. Perché allontanarsi dalla tecnica vuol dire allontanarsi dal sapere. Oggi l’ignoranza si sfoggia come una medaglia al valore, perché nell’ignoranza ci illudiamo pasolinianamente di trovare una radice di purezza, un elemento di umanità (o animalità) perduta.

Negli anni Sessanta e Settanta l’ignoranza era stigmatizzata, faceva pensare all’eredità di macerie (umane, sociali ed economiche) di due guerre mondiali. Negli Ottanta e Novanta abbiamo cominciato a coccolare ironicamente l’ignoranza, come se fosse un cagnolone imbranato ma in fin dei conti innocuo e affettuoso. Si faceva finta di essere ignoranti per ridere con gli amici, come per esorcizzare lo spettro della vera ignoranza, quella che (appunto) terrorizzava la gente nei due decenni precedenti.
Di questo passo, dalle palestre si riverseranno nelle strade delle nostre città dei clan di scimmie come quelle di 2001: Odissea nello spazio, cortei di primati che fisseranno col naso all’insù palazzi e grattacieli, incapaci di capire a che cosa servano quei monoliti così levigati, precisi e sospettosamente artificiali.

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