colpa dell'algoritmo
Un reel non è arte. La vita difficile degli artisti su Instagram
I creativi credevano di avere trovato una miniera d’oro sul social fotografico: utilizzavano stories e Igtv, si sono adattati alla scomparsa del feed cronologico. Ma i brevi video provenienti da Tiktok hanno cambiato le cose
Nel 2010 il neonato Instagram si presentò come luogo paradisiaco per artisti e creativi. Un social media incentrato sull’immagine, accessibile a tutti dove poter diffondere a un bacino di pubblico pressoché infinito. E se la gratuità fa di me il prodotto, sarò io a promuovere il mio prodotto, avranno pensato in molti. In tempi brevissimi, gli artisti hanno iniziato a presentare, per poi vendere, le loro opere direttamente sulla piattaforma, anche con notevoli successi.
Non particolarmente curanti che ciò che offrivano non era il proprio lavoro ma l’immagine di esso, indifferenti al concetto di mostra intesa come contesto che conferisce confronto critico a un’opera d’arte: l’unico interesse sembrava quello di ottimizzare le vendite, pazienza se viene meno il confronto che fa cultura. In certi casi, la scelta di divulgare il proprio lavoro sul social media assumeva risolti politico-complottistici, presentata come un gesto contro l’élite delle gallerie, l’autocelebrazione del mondo dell’arte e delle sue trame oscure.
Promuoversi direttamente, senza intermediari, attraverso un’applicazione avrebbe conferito libertà, autonomia e maggiori opportunità. Ma dopo quella che viene definita l’èra d’oro di Instagram, dove gli utenti crescevano esponenzialmente dando forma a opportunità sia di business sia di notorietà, dando nascita a una nuova categoria sociale, quella dei morti di fama, o influencer, si sono iniziate a vedere le prime fragilità. Nel 2012 Facebook acquisisce Instagram, attende il picco di crescita e progressivamente adotta cambiamenti. Per non perdere attenzione, consensi e opportunità, gli artisti si sono dovuti abituare ogni nuova funzione e aggiornamento del prodotto: stories, Igtv, la scomparsa del feed cronologico.
I cambiamenti sono sempre fastidiosi, ma grazie a Instagram, la modesta pittrice Shanna Van Maurik, per esempio, si è guadagnata un seguito di 230.000 persone – una comunità di fan, colleghi e collezionisti – e stima che il 90 per cento delle sue vendite avvenga direttamente tramite l’applicazione. Negli ultimi mesi però i cambiamenti si sono intensificati in frequenza e radicalizzati nella sostanza facendo crollare la portata e il coinvolgimento dei propri follower, con un impatto diretto sulla sua attività d’artista. Senza alcun avviso, apparente motivo o spiegazioni, quel posto paradisiaco è cambiato: i reel (brevi video che sono essenzialmente un clone di TikTok) vengono ora forniti agli utenti insieme a un aumento generale dei post “raccomandati”, contenuti di perfetti sconosciuti selezionati dall’algoritmo. Questo oltre a una crescita esponenziale della pubblicità (1 post su 3).
“È un posto completamente diverso”, commenta van Maurik, la portata dei post è diventata così bassa che sospetta che i suoi contenuti arrivino raramente ai suoi follower, una comunità dedicata, tanto folta quanto effimera che ha passato anni a costruire.
Analogamente, molti artisti si sono trovati nell’impossibilità di raggiungere il pubblico che avevano coltivato e sembra che si affidino sempre più all’attenzione dell’algoritmo per riuscire a superare il problema.
C’è in effetti un problema se è l’algoritmo, o la percezione di esso che si possa avere, a dettare le proprie decisioni artistiche. Dopo essersi sentiti seguiti da un bacino inimmaginabile di persone, sono ora loro a inseguire Instagram nella sua tik-tok-ificazione algoritmica.
A questo si aggiunge il problema della censura, anch’essa in drastico incremento, inscritta in generale ascesa del moralismo online. Van Maurik, da parte sua, ha visto il suo account temporaneamente bloccato. L’applicazione ha segnalato uno dei suoi post, suggerendo che stesse spacciando droga. L’immagine incriminata? Un’illustrazione di funghi.
La dipendenza dalle app ha sempre comportato alcuni rischi, ma per molti artisti, il sogno di Instagram si è trasformato in un incubo.
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