(foto Ansa)

Marmolada e Donbas, ovvero la natura lampo e la guerra lenta

Adriano Sofri

La tragedia sulle Dolomiti è stata precipitosa, il conflitto in Ucraina è estenuante e lungo. Eppure di solito la storia umana va di fretta e quella naturale è millenaria. Così va la concorrenza tra le notizie

Odessa, dal nostro inviato. Fra le persone che sono venute più vicino ai campi di battaglia della guerra d’Ucraina, si sorveglia giorno dopo giorno la retrocessione di titoli e corrispondenze dalle prime alle pagine più interne, salva qualche impennata nei giorni in cui i numeri della strage compiuta da una pioggia di missili si fanno più ingenti. Le notizie si fanno concorrenza, e questo è comprensibile. Quando a prevalere sulle notizie dal fronte sono certe imminenti e traumatiche rese di conti dentro lo scibile dei partiti e delle correnti e delle rispettive rotazioni e rivoluzioni, è inevitabile un certo imbarazzo, se non altro “davanti agli estranei”. Ma ci sono concorrenze ben più severe e impegnative, come nelle pagine che aprono da domenica i giornali italiani. La tragedia della Marmolada ha dalla sua il connotato della velocità: la precipitazione, alla lettera. La cima di un ghiacciaio che viene giù “a 300 km all’ora”. Le pagine successive, prima di tornare all’Ucraina, fanno il punto sulla siccità, i fiumi e i laghi in secca, le piante piegate, le zolle spaccate. 

Per contrasto, le pagine, più sbrigative, meno gridate, dal Donbas e dal resto del cosiddetto teatro di guerra, rendono conto della lentezza estenuante di avanzate e ritirate, dei mesi occorsi per guadagnare poche decine di km, e della dissipazione di vite e di congegni materiali. La storia umana, storia delle imprese e delle contese fra umani, e per eccellenza delle guerre, è stata da sempre contrapposta alla storia naturale e ai suoi tempi immemorabilmente lenti. La “lenta ginestra” di Giacomo Leopardi: “sta natura ognor verde, anzi procede / per sì lungo cammino / che sembra star”. Anche la natura ha una sua storia, ma così lenta da farla sembrare ferma al parapiglia arrogante degli umani: “Caggiono i regni intanto, / passan genti e linguaggi: ella nol vede: / e l’uom d’eternità s’arroga il vanto”.   

Ecco che cosa mostra la coincidenza fra la Marmolada e l’Ucraina, e spinge a ignorare la concorrenza per apprezzare la connessione: che la natura ammalata acutizza la sua crisi, mentre la guerra si cronicizza. I tempi già incomparabili di storia umana e storia naturale, tumultuosa la prima e come immobile la seconda, si fondono e si confondono. Conosco la risposta di quella minoranza di scienziati i quali avvertono che il cambiamento del clima c’è, ma ne è dubbia o ignota la causa, e che il clima è sempre cambiato: senza alcuna pretesa, obietto che una tale rapidità del mutamento, la rapidità febbricitante della Marmolada e della sua culminante domenica, non abbia confronti nel repertorio geologico. La cronicizzazione della guerra invece ce li ha. “Quella che avrebbe dovuto essere una rapida campagna di movimento, dinamica e innovativa, è regredita ignominiosamente a una guerra di posizione che assomiglia tragicamente alla Prima guerra mondiale: alle sue trincee lunghe centinaia di chilometri, ai suoi bombardamenti di distruzione lunghi settimane, ai suoi assalti sanguinosi e inutili, e alle sua avanzate esasperatamente lente e prive di significato” (così Orio Giorgio Stirpe, già ufficiale Nato, un po’ un anti Mini, che tiene un commento quotidiano sul suo Fb). 

Desiderio di pace (non al costo di libertà e giustizia) e di convalescenza della vita del pianeta sono i bersagli della guerra, il morto che afferra il vivo e se lo vuole riportare nel suo sottosuolo. Così come le avanzate civili. I promotori di guerre si illudono del regresso almeno quanto l’ottimismo storicista si illude (si illudeva) delle sorti progressive. Il tremendo compromesso consolatorio che se ne cavò alla fine era che i dopoguerra, carichi della consapevolezza pentita, fossero portatori di un mondo migliore. Si scrivevano, nel pieno del fuoco, manifesti di Ventotene sulla carta velina delle sigarette. Per cautelarsi, nei tribunali internazionali si prometteva solennemente: Mai più. E’ successo di nuovo, nel centro d’Europa, nella stessa colossale fossa comune della storia. Ha rimesso in auge petrolio, gas, carbone, virtù maschie. La carestia prodotta dalla lenta siccità surclassata da quella prodotta dal bombardamento dei silos e dal minamento dei porti. La guerra è l’espediente cui l’uomo vecchio, il nuovo ricco (Nuovo ricco, in Russia, si dice Nuovo russo) ha fatto ricorso per soverchiare la pacifica distruttività umana e le sue velleità di rianimazione. Mi auguro che ci pensino i sinceri volontari della casa comune e del Laudato si’, che vedono nella guerra un incidente laterale e accantonabile per la cura del creato. 

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