(Foto di Ansa) 

Cattivi scienziati

Il vaiolo delle scimmie è un film iniziato 50 anni fa

Enrico Bucci

Più che un adattamento del virus, a fare spazio alla ripresa attuale dei contagi sembra essere la scomparsa dell’immunità di popolazione contro il vaiolo. A oggi non sembra il caso di preoccuparsi 

Alcuni ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi avevano provato a fare due conti, per vedere quale fosse la capacità del vaiolo delle scimmie di dare origine ad epidemie, pubblicando i risultati a settembre 2020
Basandosi sui dati disponibili per la Repubblica Democratica del Congo, si erano accorti di una cosa interessante: man mano che il tempo passava dalla fine della vaccinazione contro il virus del vaiolo umano, si verificavano epidemie di vaiolo delle scimmie temporanee e localizzate, ma ogni volta più estese. Da questi dati, i ricercatori avevano tratto una lezione importante: al diminuire dell’immunità di popolazione contro i poxvirus, la famiglia di virus del vaiolo, dovuta al ricambio generazionale con coorti non più vaccinate, il famoso numero di riproduzione di base R0 aumentava sempre più.

Tra il 1980 e il 1984, appena terminata la vaccinazione contro il vaiolo umano, quello delle scimmie non poteva dare luogo che a sporadici contagi da animale, a fronte dell’immunità presente nell’85% della popolazione; nel 2011-2012, al verificarsi di una prima epidemia, l’immunità di popolazione contro il vaiolo era ridotta al 60%, e corrispondentemente la stima di R0 fatta dai ricercatori arrivava a 0.85 (margine di incertezza 0.51–1.25). Soprattutto, le stime fatte dai ricercatori mostravano che, considerando come in molti paesi l’immunità conferita dalla vaccinazione antivaiolosa potrebbe essere già scesa nell'intervallo del 10-25%, in questi paesi R0 dovrebbe essere compreso nell'intervallo 1,10-2,40, ovvero al di sopra del valore di 1 necessario a dare sostegno ad un’epidemia, attraverso il contagio uomo-uomo. Inoltre, negli anni passati viaggiatori di ritorno da paesi africani, e non solo animali da compagnia, avevano importato il vaiolo delle scimmie in paesi come gli Usa, Israele, Singapore e il Regno Unito: nel 2021, per esempio, si sono avuti almeno due casi in USA, uno a Dallas e uno in Maryland.


Già nel 2018, infine, si erano avuti casi di trasmissione uomo-uomo al di fuori dell’Africa, e precisamente sul suolo inglese. L’insieme di tutti questi elementi aveva portato la comunità degli specialisti ad individuare un rischio specifico: quello che la diminuzione sempre più pronunciata dell’immunità contro i poxvirus, causata dalla sospensione della campagna vaccinale contro il vaiolo umano ormai eradicato, potesse portare alla fine all’emergere di qualche nuovo poxvirus, che avrebbe occupato la nicchia ecologica lasciata libera dal vaiolo, vieppiù nelle condizioni ideali di sovraffollamento umano e viaggi veloci su lunga distanza che caratterizzano attualmente il nostro pianeta. L’ultimo, più dettagliato allerta era stato fornito nel febbraio 2022, attraverso la pubblicazione di un lavoro in cui si riporta “un aumento dei casi di vaiolo delle scimmie, specialmente nella Repubblica Democratica del Congo ove vi è una diffusa endemia, una diffusione in altri paesi e un'età media crescente dai bambini piccoli ai giovani adulti. Questi risultati possono essere correlati alla fine della vaccinazione contro il vaiolo, che ha fornito una certa protezione incrociata contro il vaiolo delle scimmie, arrivandosi oggi a una maggiore trasmissione da uomo a uomo. La comparsa di focolai al di fuori dell'Africa mette in evidenza la rilevanza globale della malattia.”

Insomma: stiamo osservando l'ultimo fotogramma di un film cominciato almeno 50 anni fa. Più che un adattamento del virus, a fare spazio alla ripresa attuale sembra essere la scomparsa dell’immunità di popolazione contro il vaiolo. Dobbiamo quindi prendere nota di un’ulteriore lezione di Darwin: la traiettoria evolutiva delle specie dipende dalle loro interazioni reciproche a livello di popolazione, essendo in questo caso condizionata dall’immunità media di una specie, da quella di molte altre specie animali che fungono da serbatoio fin che la prima è alta e non permissiva per epidemie ed infine dal genoma delle quasispecie virali e dalla loro velocità di mutazione. L’ingrediente in più, naturalmente, è costituito dalla nostra mente: siamo noi a poter pilotare la nostra immunità di popolazione e anche a diminuire la trasmissione con farmaci e misure non farmacologiche, cambiando così a nostro favore un panorama evolutivo già complesso. Nel caso del vaiolo delle scimmie, a oggi non sembra il caso di preoccuparsi: conosciamo vaccini e farmaci efficaci, abbiamo una trasmissibilità ancora bassa, quasi solo in certe comunità ed infine abbiamo mezzi di diagnosi molecolare e di sorveglianza efficaci. Questo non è un virus nuovo, ma “vecchio” ha detto Roberto Burioni; come spero di aver dimostrato, non ci prende di sorpresa, e non è quindi il caso di fasciarsi il capo prima del tempo.

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