"Cancelliamo i russi!" Riecco la solita pornografia delle virtù

Manuel Peruzzo

Nella foga di stare dalla parte dei giusti e condannare l'ingiustificata guerra di Putin ci siamo lasciati prendere la mano, condannando un intero popolo. Ma prima di salvare il mondo dovremmo salvare l’idea di mondo che abbiamo costruito

Essere russi è diventata una colpa. Il Metropolitan Opera di New York ha annunciato che non metterà più in scena artisti che hanno sostenuto il presidente russo Vladimir Putin. Per lo stesso motivo Monaco ha licenziato il direttore d’orchestra russo Valery Gergiev. Il comune di Reggio Emilia, nel suo piccolo, ha cancellato l’invito al fotografo Alexandr Gronsky, già arrestato per aver manifestato contro la guerra, perché anche se “l’arte e la cultura dovrebbero costruire ponti”, come si legge nella nota, “c’è un tempo per affermare con fermezza il diritto dei popoli a vivere in pace” (in che modo possano vivere in pace cancellando una mostra non si sa). Se applicassimo lo stesso rigore alla politica internazionale sarebbe impossibile riempire le sedie delle Nazioni Unite.

   

Paolo Nori ha raccontato che la Bicocca ha rinviato il corso che avrebbe dovuto tenere su Dostoevskij per “evitare ogni forma di polemica” (poi hanno ritrattato: nessuna censura, c’è stato un equivoco, grandi caffè in rettorato, è un momento di “grande tensione”). Non solo essere un russo vivente è una colpa: ma anche essere un russo morto. Le cancellazioni dopotutto sono nate nelle Università americane e sono finite per diffondersi a causa del narcisistico posizionamento nell’opinione pubblica. In parte è la solita pornografia delle virtù. Ma in parte c’è anche una reale oggettiva situazione d’emergenza a giustificare quest’isteria: ammettiamolo, se potesse servire a scongiurare una guerra e altri morti non fareste di tutto per segnalare il vostro dissenso? Anche se questo tutto è prendervela indiscriminatamente con chi ha il passaporto russo. Questo metodo non funziona ma abbiamo passato anni a igienizzare le strade per paura di prendere il Covid: non siamo sempre razionali.

  

Nella foga comprensibile di stare dalla parte dei giusti e seguire la condanna internazionale alla ingiustificata guerra di Putin ci siamo lasciati prendere la mano, e da più parti si sta condannando un intero popolo. Volevamo cancellare Putin ma così gli facciamo un favore. In che modo esattamente escludere artisti russi dal festival di Cannes o licenziare direttori d’orchestra è d’aiuto al popolo ucraino? Sarebbe bello fossero tutti come Elena Kovalskaya, direttrice del teatro statale, che si è dimessa dicendo “È impossibile lavorare per un assassino e riscuotere lo stipendio da lui”. Ma non è così. L’economista Tyler Cowen ha scritto che “un nuovo maccartismo perseguita l'America: la ‘cancellazione’ di artisti e atleti russi”. Si sbaglia. Non è solo negli Stati Uniti e in qualche modo è un segnale della fine dei negoziati. Cowen si chiede quando dovrebbe finire questo divieto? Secondo il direttore del Metropolitan Opera quando l’invasione e le uccisioni saranno state interrotte, l’ordine ripristinato e effettuate le restituzioni, ma “Anche se Putin dovesse cadere domani, non aspettiamoci molti risarcimenti da quella che potrebbe essere una nazione in bancarotta”.

   

Qual è il confine tra pressione e repressione?

  

Le sanzioni economiche sono strumenti di ritorsione alla politica di Putin ma quelle culturali rischiano di colpire anche chi vive fuori dalla Russia. “Obbligare artisti, o qualsiasi figura pubblica, a dar voce alle loro opinioni politiche in pubblico e a denunciare la loro patria non è giusto. Questa dovrebbe essere una libera scelta”, ha detto la soprano Anna Netrebko. In tempi ordinari diremmo che ha ragione. Oggi ci si chiede se non dobbiamo far tutti la famigerata piccola parte per salvare il mondo. Eppure, con un po’ di retorica e di idealismo, prima ancora di salvare il mondo dovremmo salvare l’idea di mondo che abbiamo costruito. Non è né giusto né equo obbligare qualcuno a prendere posizione politica, e scegliere tra la propria carriera nel mondo e rischiare la vita in Russia sotto un autocrate che ti serve tè avvelenato. Non è né giusto né equo licenziare qualcuno per le proprie idee politiche, fossero anche repellenti. Non è né giusto né equo essere xenofobi per salvaguardare l’autoderminazione di un popolo. Ciò che stiamo difendendo con fatica, insieme alla pace, è anche un modello d’immaginare la libertà. I primi a crederci dobbiamo essere noi.

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