vieni avanti cretino

L'imbecillità è una cosa seria e ci siamo tutti dentro fino al collo. Volenti o no

Marco Archetti

Non ci sono più gli imbecilli di una volta, ora è più difficile individuarli perchè sono istruiti, vestiti bene, laureati: sono dei cretini intelligentissimi. E nessuno ne è escluso

Vieni avanti, cretino. E fu così che non se ne mosse nemmeno uno, perché l’imbecillità, si sa, è come la morte: riguarda sempre gli altri. Invece riguarda tutti, e non è un tema comico, proprio come ci ha spiegato, facendoci ridere, Carlo M. Cipolla. Il danno che lo stupido produce è sempre sottostimato, e se dietro ogni scemo c’è un villaggio che non è da meno, davanti c’è spesso un talk-show che lo è di più, così che il danno è tragicamente collettivo: il cretino, figuriamoci se supportato, ne causa anche a se stesso, danni di cui ovviamente non ha contezza e anzi, meno ne ha e più agisce in quanto cretino, essendo un vero cretino.

  

Qualche giorno fa, su un social, accadeva che una ragazza pubblicasse un link con un post di cui era autrice, post trapunto di schwa essendo lei “attivissima sul fronte inclusività”. Una seconda le faceva notare che una persona affetta da neurodiversità non avrebbe potuto leggerlo e la accusava di inclusività non intersezionale, oltre che di un implicito abilismo. Interveniva un terzo: prendendo in considerazione un ipotetico ipovedente, e non avendo la schwa un suono riconoscibile dai programmi di screen reading, costui sarebbe stato tagliato fuori dalla lettura, diceva, e accusava la seconda di accusare anch’ella in modo non intersezionale, e la prima di incarnare una serie di nefande insensibilità. La prima tirava dritto: “Troveremo una soluzione tutti insieme”, e scriveva “tutti” con la schwa, dimostrando quanto per lei contasse di più la divisa inclusivista anziché la cosa più inclusiva per definizione: che tutti capissero. Insomma, come ha ricordato Maurizio Ferraris anche su queste pagine, l’imbecillità è cosa seria. Se ne tratta con scherzosa ferocia, col tono di chi si erge o si chiama fuori, ma ci siamo tutti dentro fino al collo, volenti, nolenti o parenti.

  

Per provare a comprenderne la struttura diabolicamente sofisticata, vale richiamare, a guidarci, una bella intuizione di Alfonso Berardinelli che, un paio di mesi fa, in un’intervista, tracciava una linea di demarcazione tra intelligenza ed efficienza intellettuale. Pertanto, specularmente, si potrebbe dire che anche l’imbecillità non è semplice inefficienza intellettuale nel senso spinoziano – cioè assenza di “idee chiare e distinte e connessioni reciproche e necessarie”. E che, così come l’intelligenza è più che la mera efficienza intellettuale, anche l’imbecillità è una forza complessa e insidiosa: impotenza capace di elevarsi a potenza per “mancare” sempre meglio il mondo e generare lacune sempre più perniciosamente (im)produttive, è poderosa forza di tracollo, insinuante e persuasiva, sleale e gioiosa, abile a camuffarsi. L’imbecillità, in altre parole, non è solo l’essere imbecilli e non è semplicemente un errore dell’intelligenza. Non è una formula, ma una realtà che ha una propria fisionomia ed eserciti armatissimi, tant’è che gli imbecilli di cui vediamo la ribalta sono sempre meno nudi. Non ci sono più gli imbecilli di una volta perché l’imbecillità è migliorata, e in giro ci sono imbecilli vestiti di nuovo, imbecilli istruiti, talvolta laureati, spesso colti. Insomma, diciamocelo: ci sono in giro cretini intelligentissimi.

  

Papini sosteneva che guai se non ci fossero, e la letteratura ci ha consegnato memorabili ritratti – non valgono i cretini che, con la loro sancta simplicitas, svelano l’ipocrisia altrui (gli Sc’veik, gli ingenuotti del folklore russo o i Gimpel singeriani) ma pensiamo a Boccaccio, a certi personaggi di Maupassant o di Yates, ai truffati dallo scroccone di Renard, agli eruditi flaubertiani o alle vite brevi degli idioti cavazzoniani. Orazio, nelle sue Satire, per bocca di Damasippo ci ricorda che tutti sono imbecilli. Inquietante? Indubbiamente vero, basta rileggere bene Platone. “Ci somigliano”, dice chiaramente Socrate a Glaucone parlando dei prigionieri nel mito della caverna. Sì, siamo noi quelli incatenati – noi che guardiamo le ombre proiettate dal fuoco e le scambiamo per le ombre degli altri.

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