FACCE DISPARI

Alex, lo studente geniale che imparò l'italiano a 10 anni

Francesco Palmieri

Intervista all'unico studente romeno fra i venticinque fuoriclasse premiati da Mattarella: "Sogno di fare il ricercatore nel campo della medicina. La pandemia? 'Come prima' non è un'espressione applicabile alla nostra vita"

C’è Alex nell’aliquota ridotta ma non agevolata delle buone notizie, ossia Marian Alexandru Isacov, ventenne romeno che assieme a ventiquattro italiani è stato insignito, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del titolo di ‘Alfiere del Lavoro’ il 26 ottobre scorso. È questa la benemerenza con cui sono premiati ogni anno i migliori tra i migliori studenti del Paese. Minimo per concorrere: qualifica di ottimo alla licenza media; almeno 8/10 di media per ciascun anno della scuola superiore; 100/100 all’esame di Stato. Alex ha esagerato: 9,85 media annua, 100 e lode l’estate scorsa e adesso studia Medicina alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. L’ambasciatore romeno in Italia, George Bologan, ha voluto riceverlo giovedì scorso e ha twittato la foto dell’incontro, mentre il telefono di Alex ribolle ancora dei complimenti che gli arrivano dalla Romania e dall’Italia, tra cui quelli dell’Avis, perché non solo è donatore ma membro del consiglio direttivo dell’Associazione a Mantova. La città dove vive da quando aveva dieci anni.

 

Alex, qual è la sua città d’origine?
Sono nato nel 2001 a Galati, nella regione della Moldavia. Mio padre, alla ricerca di opportunità lavorative, venne in Italia nel 2007 e trovò posto nell’edilizia. Io e mia mamma lo raggiungemmo nel 2011 e ci stabilimmo a Mantova. Avevo frequentato le prime tre classi elementari in Romania e fui ammesso in quarta.

Problemi con la lingua italiana?
Non ho fatto fatica. Sono capitato in una comunità inclusiva dove mi sono integrato in modo naturale, a differenza di tante storie meno fortunate della mia. Ora che sono a Pisa, e rivedo Mantova da una prospettiva di distanza, ogni volta che torno ne godo la bellezza con la stessa sensazione di quando ci arrivai da bambino.

Lei ha frequentato il liceo scientifico ‘Enrico Fermi’: era già orientato verso gli studi di Medicina?
Scelsi quell’istituto perché mi permetteva di conseguire anche il diploma di una scuola americana. Al principio pensavo a un futuro nella matematica o nella fisica, poi ho scoperto una passione per le materie mediche. Mi piacerebbe proseguire nella ricerca, ma mi attira anche il settore del management sanitario. Vedremo.

L’esperienza della pandemia l’ha cambiata?
È stata durissima sul piano delle relazioni personali, come credo per molti, ma volendo tutti abbiamo potuto coglierne anche gli aspetti positivi. A me ha permesso di dedicare meno tempo alle cose che ne meritavano meno, e recuperarlo per approfondire quelle che m’interessavano di più.

Torneremo come prima?
“Come prima” non è un’espressione applicabile alla nostra vita. Bisogna andare avanti discernendo ciò che ha funzionato in un contesto negativo: basti pensare all’utilità di Zoom, agli spostamenti – e all’inquinamento – che ridurrà il suo uso più ampio.

Non la spaventa un po’ lo smartphone? Non vede troppa vita spalmata sui social tra i suoi coetanei?
La quantità di informazioni circolanti è incomparabile a quella di qualche anno fa. Non possiamo rinunciarvi, piuttosto bisognerebbe definire il ruolo delle piattaforme sociali: non è accettabile che fungano da moderatori in un Paese democratico né che offrano un’illusoria rappresentazione stabilita dagli algoritmi, per cui chi usa Facebook pensa che la realtà sia quella perché ritrova contenuti simili a ciò che già pensa. Però la condivisione di conoscenze e di passioni, e il bisogno di una informazione corretta, sono diventati irrinunciabili. Non è pensabile un rifugio nell’anacronismo.

Lei usa i social o ha troppo da studiare?
Uso Instagram, con cui ho potuto recensire anche qualche libro negli ultimi due anni. Ho Linkedin e Twitter, ma non lo apro mai, e non ho un account Facebook.

A parte i testi universitari, qual è l’ultimo libro che ha letto?
‘Il nano e il manichino’, un’acuta analisi del cristianesimo del filosofo sloveno Slavoj Zizek. L’ho incontrato al Festivaletteratura di Mantova a settembre scorso e certe sue argomentazioni mi hanno illuminato, anche se vanno metabolizzate. Mi sono procurato altri suoi testi. La filosofia durante gli ultimi anni di scuola mi ha appassionato.

Cosa ha detto Mattarella quando le ha consegnato la medaglia di “Alfiere”?
Le congratulazioni di rito, ma ciò che ha più colpito me e gli altri ragazzi premiati è stata la sua presenza, lo sguardo, i gesti: erano quelli di una persona che crede davvero in ciò che sta facendo. Più efficace di mille parole.

I suoi genitori saranno al settimo cielo.
Li ringrazio perché non mi hanno mai imposto obblighi. Mai la brama del risultato, anche se sono figlio unico. Hanno detto: ‘Scegli quello che vuoi. Se lo desideri continua a studiare, altrimenti lavorerai’. L’unica opzione esclusa era che rimanessi senza far niente.

In che lingua vi parlate?
Tra noi solo in romeno, per non perderlo mai.

I suoi hobbies?
Equitazione fino al periodo del lockdown, poi ho cominciato un po’ a correre. E la lettura, da cui non penso di poter prescindere.
 

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