Il foglio del weekend

No vax, è nata una stella

Andrea Minuz

Nunzia Alessandra Schilirò era destinata al palinsesto televisivo. Dopo un libro con l’editore dei complotti, la dirigente di polizia passa da un talk-show all’altro. Fenomenologia dei miti antisistema, celebrati dalla tv

Vaccinarsi è un dovere, ma essere No vax a volte conviene. Da quando è salita sul palco di piazza San Giovanni, in una manifestazione che a Roma è già “classico” e viaggia sempre in coppia (venerdì sciopero dell’Atac, sabato contro il Green pass), la dirigente di polizia, Nunzia Alessandra Schilirò, era destinata al palinsesto televisivo. Sapeva che sarebbe arrivata puntuale, fatale, inevitabile, la chiamata nel gran teatro dei talk-show. Per lei, per la sua battaglia di libertà e per il suo primo romanzo, “La ragazza con la rotella in più”, un libro che “contiene informazioni e conoscenze spesso nascoste alla massa del pubblico”. Una favola che “coglie lo spirito dei nostri tempi” e che ha costretto Schilirò alla torsione creativa più audace, l’invenzione di “un nuovo genere letterario: il real spiritual fantasy” (lo pubblica, manco a dirlo, Byoblu, la casa editrice antisistema. Lo apriamo a caso a pagina 204: “Come diceva Napoleone, tutta la storia si fonda sulla menzogna, potremmo lavorare un mese in tutta una vita e trascorrere il resto del tempo in vacanza, se non ci avessero sottratto la verità”; dunque anche uno “spiritual fantasy” sull’helicopter money). C’era stata una prima benedizione a “Quarta Repubblica” con plauso di Cacciari. Si era vista da Mario Giordano, in un servizio in cui la intervistavano, non si sa perché, dentro una pineta. Ma la celebrazione in grande stile arriva da Giletti. È lui il primo a portarsela in studio. È lei l’“ouverture” della nuova stagione di “Non è l’Arena” che passa dalla domenica al mercoledì (“cambia il giorno in cui andiamo in onda, non cambia il nostro modo di fare giornalismo”). C’è l’orgoglio di chi ha fatto il colpaccio: “Guardate chi c’è dietro il nostro ledwall”, dice Giletti aprendo la puntata, “c’è una donna, non una donna qualsiasi ma un vicequestore della polizia di Stato” (con quell’“un” che dribbla tutte le trappole di genere – “La” vicequestore? “Il” vicequestore? – scartando subito “la vicequestora”, troppo in zona “commedia-sexy” con la Fenech).


Molto truccata, molto colorata, Schilirò entra in studio spiegando che è venuta “senza l’autorizzazione della polizia” e che rischia la “destituzione” (“Non è l’Arena” è la trasmissione del rischio: Giletti è sotto scorta, Schilirò non poteva che giocarsi il posto lì). Parte il video della manifestazione per rivedere i suoi “highlights”: lei che tuona contro lo Stato dispotico e corrotto, che cita Gandhi, Falcone, Borsellino, perché “il male nella storia non ha mai vinto”; che “sì esiste un virus potentissimo, ma si chiama paura”, e che “i vaccinati si ammalano tutti come gli altri e muoiono”. Schilirò spiega che lo Stato sta “violando la Costituzione, quella su cui ho giurato”. Tira fuori “i padri costituenti”, la “Costituzione più bella del mondo” e afferma che il Green pass “non ha fondamenti scientifici”. La sua è una battaglia “per i diritti fondamentali dell’essere umano” e “se sarò punita non siamo più in democrazia”. 

Le frasi di Schilirò cadono come macigni. Giletti le lascia rotolare in un misto di distacco, dissociazione, soddisfazione, lungo un inspiegabile sentiero di sampietrini disegnato intorno a lui nel pavimento (un richiamo alle elezioni romane? Omaggio al cardo e decumano di Michetti?). “Non siamo in una democrazia sospesa”, ci rassicura quindi Giletti. Però poi “vedo Freccero, vedo Cacciari, e penso che il dibattito serva”.  Di dibattito, però, non se ne vede granché. In studio c’è solo la poliziotta. Un po’ come nella puntata di “Otto e mezzo” sullo svanimento della “Trattativa”. Titolo, “Stato-Mafia: ha davvero perso Travaglio?”, ospiti: Marco Travaglio. Arriva anche Sgarbi che la butta adorabilmente in caciara: “Lei è una donna straordinaria che ha diritto di dire quello che vuole”. Cita “Baudelaire”, “Lautréamont”, i “surrealisti” e “tutti quelli che hanno fatto una rivoluzione e che all’inizio non sono stati capiti” (c’è forse in Italia un dibattito scientifico che non sia riconducibile al liceo classico?). 

Tra le cose più surrealiste di Schilirò annotiamo senz’altro: “Uno deve essere libero di scegliere se vaccinarsi o no, come con la chirurgia estetica” (e mentre la regia inquadra i suoi labbroni fucsia, si fa strada il dubbio: naturali? Rifatte? Volumizzante effetto-botox?). Ma anche il passaggio sulle “streghe”, dopo l’inevitabile richiamo al “rogo” di Giletti: “Ne sono morte trenta milioni”, dice lei. “Lo so perché mi sono occupata di violenza di genere”. Non ci dice se è vaccinata “per questione di privacy”, come quei giornalisti sportivi che non rivelano la squadra del cuore, però è in lotta contro lo Stato e il green pass per i diritti fondamentali dell’uomo. Costituzionalista, virologa, avvocato, poliziotta, scrittrice, inventrice di nuovi generi letterari: Schilirò è il nostro consueto e ricorrente talento rinascimentale. Arriva anche l’immancabile endorsement di Red Ronnie: “Sono stato a trovare Nunzia Alessandra Schilirò a casa sua. Il vicequestore di Roma ha detto parole splendide sabato davanti a centomila persone che manifestavano contro il pass verde. Naturalmente ho filmato il nostro incontro e presto sarà online sulla homepage di OptiMagazine”. A star is born.


Schilirò ha in effetti tutte le carte in regola per diventare una Daniela Martani dei No vax. Ve la ricordate? La “pasionaria” ex hostess Alitalia, col cappio al collo nelle proteste di piazza (“questa è la vera cordata Alitalia”). La sua è una parabola davvero esemplare. Un piccolo trattato sulle logiche della televisione e dei suoi cortocircuiti. Nel 2009, dopo essere diventata il simbolo della lotta dei dipendenti, la “Marianne” dell’Alitalia che guida il popolo verso la cassaintegrazione, per Daniela Martani arriva una sventagliata di ospitate nei talk-show, quindi la chiamata del “Grande Fratello 9”. Poi una serie di “nudité fotografiche” realizzate con Bruno Olivieri, ma solo per motivi “etici” (“per la prima volta mi spoglio per dimostrare che la scelta vegana vuol dire salute”). Poi i riflettori si spengono. I soldi finiscono. Ma il demone dello spettacolo non l’abbandona. Diventa cantante di pianobar (“all’epoca si diceva che io avessi sfruttato la questione Alitalia per andare in televisione. In realtà ho studiato recitazione e canto ben prima di diventare hostess e ho continuato a farlo”). Con il Covid fiuta il nuovo zeitgeist e ritorna a galla. Diventa No vax e dice “no alla mascherina”. Si rifiuta di indossarla mentre rientra col traghetto dalla Maddalena. Nasce un diverbio, pubblica la sua protesta sui social: “Io non ci sto a questa follia, mi rifiuto di sottostare a questa dittatura che non ha alcun fondamento. Siete un popolo di lobotomizzati”. Non serve altro. Arriva la chiamata all’ultima edizione dell’“Isola dei Famosi”. 

È una storia italiana coi suoi ingredienti immutabili: la vocazione per l’arte e lo spettacolo che ribolle dietro frustrazioni da lavoro anonimo (quasi sempre statale), e che trova poi nella protesta, nella rivendicazione, nello svelamento di verità scomode con vistosa mania di persecuzione al seguito, un modo per uscire dall’ombra. La televisione completa l’opera. Perché, si capisce, dietro l’attacco al sistema, tanto più in un sistema che fa acqua da tutte le parti come il nostro, si celano sempre desideri irrisolti, scompensi emotivi, non di rado un romanzo o un disco o un reality nel cassetto che se non decollano lasciano spazio al disagio (come diceva Arbasino, in quel manuale di sopravvivenza italiana che è “Un Paese senza”: “Chi ti ha reso quel disastro che sei? Le multinazionali o la tua cara mamma?”).  “Sono stata chiamata sul palco a San Giovanni da Byoblu perché ho pubblicato un libro con loro”, spiegava Schilirò da Giletti, “e mi sono detta: chissà quando mi ricapita”. Non ci sarebbe stato altro da aggiungere, e invece si finisce sui “diritti umani”.

Con l’avvio di una nuova stagione di telepolitica si è dunque tornati a parlare del peso dei talk-show. Delle loro responsabilità nella costruzione di un dibattito pubblico sempre più improbabile. In una lettera al Foglio, Ivan Scalfarotto reclamava interviste ai politici fatte una alla volta, per evitare la messa in scena di due punti di vista opposti, di cui uno irricevibile, ma trattato allo stesso modo, cioè quello dei No vax. Ma un buon talk-show, ribattono in molti, si fa coi No vax, coi filosofi contro il Green pass e coi manettari, specie ora che la Trattativa s’inabissa. Così a “Zona Bianca” si parla di “cure alternative” e Giletti mette su un confronto tra Sgarbi, Pregliasco e il Dottor Stramezzi, il dentista che si è scoperto infettivologo e ha messo su una app per curare il Covid, un “banale virus respiratorio”, a botte di vitamine. Pregliasco ride. Ma forse a casa qualcuno si esalta quando Stramezzi, con quell’aria da artista della bohème fin-de-siècle, dice che “il dieci o il venti per cento della terapia è fatto di carezze” (una frase che starebbe bene nello spiritual fantasy di Schilirò), mentre Giletti chiosa: “Quando uno ospita qualcuno che si allontana dal pensiero liturgico è sempre un problema”. 

 

Del resto, il claim di Mario Giordano è ancora più lapidario: “Chi non urla è complice!”. Molti talk show, del pianeta Rete 4 ma non solo, sono in fondo sin dal nome (“Fuori dal coro”, “Controcorrente”) il volto rispettabile e “mainstream” di tutta quella costellazione di web tv cresciuta all’ombra di internet, come Byoblu, “La tv dei cittadini”, come “Life120Tv di Adriano Panzironi, come “Contro.Tv” di Massimo Mazzucco, sfrenato complottista all’italiana in un arco che va dall’allunaggio alle terapie contro il cancro. Il dibattito innescato nelle scorse settimane sulle responsabilità dei talk-show si è così infilato in un vicolo cieco. Alla fine pare che un po’ di No vax in tv ci vogliano. Lo ammetteva Confalonieri (“fanno un po’ di casino nei talk-show sennò chi li guarda, ma poi la gente sa distinguere”). Lo diceva e non diceva Andrea Salerno di La7, interrogato sull’ospitata permanente di Francesca Donato, un “troll” dei dibattiti televisivi sui vaccini, bravissima nel sollevare un putiferio di numeri, dati, cifre sparate a casaccio. Lo spiegava con rassegnazione Francesco Costa nel suo podcast (“chi decide davvero gli ospiti dei talk-show”). 

È la tv, bellezza, e noi non possiamo farci niente. Tutti i talk-show d’assalto funzionano in fondo come una puntata di “Ciao Darwin”: due squadre opposte, molta cagnara. Nessuno si stupirebbe granché se Bonolis mettesse su una puntata “vaccinati contro No vax”, i primi con la mascherina, gli altri senza, guidati da Freccero. Ma nella scelta di dar voce al pensiero “alternativo” c’è anche dell’altro. Forse il No vax non è lì solo in quota “antiscientifico-complottista-paranoide”. Forse è lì anche come testimonial di quell’attitudine, capacità e vocazione tutta italiana di opporsi “alle regole” con l’approvazione del “sistema”. E qui la sua presenza si fa più aderente, rappresentativa, “sintomatica” dell’antropologia nazionale. Perché essere No vax (almeno sin qui) è convenuto, come non di rado conviene più essere disoccupati che lavorare. Accesso in tv, visibilità garantita, più copie vendute del proprio romanzo. E chissà poi quanti statali sono diventati sfrenati No vax attratti più dal miraggio del congedo che intimoriti dal vaccino (vuoi mettere però: “Basta me ne vado in congedo contro la dittatura sanitaria”). 

Coccolato dalle tv, dai sindacati, dai candidati sindaci, da Salvini e Meloni, da Agamben e Cacciari, dal guru del cachemire, Brunello Cucinelli (“chi non si vuole vaccinare resta a casa, gli pago comunque lo stipendio”) o dall’imprenditore Bresciano, Stefano Cervati, che paga i tamponi per i poliziotti che non intendono vaccinarsi, il no vax ci rappresenta al meglio. Ritroviamo qui le nostre maschere più arcaiche: l’inventore pazzo, il medico in lotta contro il sistema, il genio incompreso che suona fuori dal coro, il ribelle con lo stipendio che attacca lo Stato, “sedere sulla cattedra, cuore sulle barricate”, emblema di quel funambolico equilibro, di quell’arabesco arcitaliano, metà anarcoide, metà parastatale. 


Il No vax, insomma, come “tipo italiano” assai radicato nei corsi e ricorsi che dalle nostre parti segue un preciso “bildungsroman”: assemblea d’Istituto-okkupazione-assessorato alla cultura (rileggersi Tom Wolfe sui giovani italiani dei furiosi anni Settanta: “Conducevano durante le ore diurne un’esistenza piuttosto sfrenata. Militavano in organizzazioni estremiste e si erano accanitamente scontrati con la polizia, sulle barricate, nel senso letterale del termine. Però alle venti e trenta in punto tornavano a casa, si lavavano ubbidientemente le mani prima di cenare con Mamma e Papà e Fratellino e Sorella e la Zia Zitella). Ecco perché sono in tv. Ecco perché li guardiamo.