Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Ah, i bei tempi dell'autocertificazione

In vacanza col green pass, prigionieri della “dittatura sanitaria”

Andrea Minuz

Dal saluto romano al pugno chiuso, il certificato verde unisce gli estremismi contro il “totalitarismo neoliberista” (con qualche rimpianto per quel vecchio lasciapassare dal volto così umano)

Dunque, ricapitolando: dal green pass vanno esentati i lavoratori perché crea discriminazioni alla mensa aziendale (dove sono rari i tavolini fuori). Andrebbero esentati anche ristoratori, albergatori, gestori di discoteche, palestre, parchi di divertimento o quantomeno tutti dispensati dal dover chiedere il documento di identità ai loro clienti. Il green pass è “inaccettabile” e “anticostituzionale” secondo il Codacons, che prepara il ricorso al Tar del Lazio. Non deve entrare nelle scuole e nelle università perché è “antidemocratico e discriminatorio”: non già misura sanitaria o di contenimento del virus, ma strumento oppressivo di “controllo sociale”, secondo i portavoce del movimento Studenti contro il green pass, in piena ascesa negli atenei italiani, e con gli studenti contentissimi di dare finalmente un po’ di senso a tutto quel Foucault mandato giù a Lettere e Filosofia. Non si potranno poi sanzionare dirigenti e personale scolastico che non sono in possesso di green pass perché sarebbe una “una forma di accanimento contro la categoria” (copyright Barbara Floridia).

 

Si potrà però usare dentro casa e mostrarlo ai congiunti uscendo dal bagno, come in ogni “dittatura sanitaria” che si rispetti. Insomma, il green pass è un attentato alle nostre libertà fondamentali secondo i post fascisti, una vasta area della destra, i comunisti francesi e quelli italiani e un’ampia, florida filiera di intellettuali marxisti, post, micro e mega. Dal saluto romano al pugno chiuso, mette d’accordo tutti i depositari delle grandi tradizioni di pensiero che da sempre hanno a cuore la difesa della nostra libertà. Da“In forme ovattate e indolori”, dice Cacciari, “la deriva (del green pass) è quella di una società del ‘sorvegliare e punire’” (il trucco, come al solito, è tutto in quell’“ovattate” e “indolori”: per esempio, la tessera del pane a Cuba o l’impossibilità di ottenere un visto per uscire dall’Unione sovietica erano tangibili e anche dolorose. Dunque, perché parlarne, perché denunciarle? Invece se dopo due giorni che stai in Salento col green pass non t’accorgi che sei prigioniero del “totalitarismo neoliberista” è perché è tutto così “ovattato e indolore” e si vede che non hai letto Foucault).

Ma forse è tutto più semplice di così. Il fatto è che, a dirla tutta, a noi piaceva l’autocertificazione.

L’autocertificazione accendeva la fantasia, solleticava l’estro poetico e narrativo: “Ho dimenticato lo smartphone nel bagno dell’Autogrill”, “devo andare dalla fidanzata”, “sto andando urgentemente in libreria”, “devo far girare l’auto”, “porto da mangiare ai piccioni”. C’è chi si comprò il cane solo per poter uscire. In molti si scoprirono runner intraprendenti, in preda al demone del footing. L’autocertificazione, di carta, scritta a penna, con le cancellature, era perfetta per noi. Un lasciapassare dal volto umano (c’era anche l’autocertificazione di Natale). Facile da scaricare. Con quello spazio bianco da riempire che apriva mondi sconfinati di possibilità. Dovessero autocertificare il vaccino sarebbero felicissimi di farlo. Col green pass no. Col green pass crolla tutto. Il green pass è “sì”/“no”, dentro/fuori. E’ terribilmente binario, tecnocratico-padronale, ordo, turbo e iperliberista. Non c’è invenzione, estro, fantasia. Solo un codice. E’ così del resto che ci vuole il Capitale. L’ha capito pure Montesano.

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