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spazio okkupato

E se la felicità della notifica fosse nella sua attesa? Esperimenti social(i)

Giacomo Papi

A Panarea va via la corrente e i cellulari iniziano a scaricarsi. Le reazioni illustrano bene il nostro rapporto con lo smartphone: un’attesa tecnicamente messianica, nella speranza che qualcuno da fuori ci stia cercando

A Panarea, la più fighetta delle isole Eolie (e forse italiane), per sedici ore è andato in scena un esperimento sociale. A quanto riferisce l’Ansa e confermano numerosi testimoni sul posto, un doppio guasto alla centrale elettrica dell’isola, verificatosi intorno alle 3 di notte, ha tolto l’elettricità a panarellesi e turisti, in buona parte milanesi. All’inizio, come in ogni esperimento sociale, il blackout è stato preso sul ridere, come un diversivo piacevole e addirittura avventuroso. Qualcuno, soprattutto tra i ristoratori, si è allarmato per la tenuta dei cibi nei frigoriferi, ma la maggior parte ha atteso senza troppo agitarsi, come si fa nelle emergenze, che l’Enel riparasse il guasto e ripristinasse la normalità. Per le prime ore, cioè, adulti e ragazzi, numerosissimi, si sono comportati come se niente fosse, dal momento che dormire fino a tardi, fare il bagno e abbronzarsi sono tra le poche attività che non necessitano di elettricità. I problemi sono cominciati intorno alle quattro di pomeriggio, al ritorno dal mare, perché a quell’ora tutti hanno cominciato ad accorgersi – all’inizio ridendo, poi con crescente terrore – che la carica dei loro telefonini non sarebbe durata a lungo.

 

Sul molo si era formata la ressa di sempre, perfino gonfiata dal bisogno di notizie rassicuranti, che l’Enel però continuava a negare, e di cercare consolazione, o almeno un power bank, un gruppo elettrogeno, la batteria di una barca, una pila a pedali con cui ricaricare l’iPhone. L’ignaro viandante catapultato sull’isola, però, avrebbe subito notato qualcosa di strano, perché la musica taceva, le casse ammutolite nell’ombra, e di conseguenza il cicaleccio delle voci tornava a regnare. Molti, soprattutto tra i ragazzi, hanno pensato di ingannare l’attesa anticipando oltre l’anticipabile l’ora dell’aperitivo. Sembrava la soluzione perfetta, e invece: invece il ghiaccio era sciolto, i cocktail e ogni bevanda tiepida, calda, imbevibile. Ma la cosa peggiore non era la sete, e la disidratazione. È stato rendersi conto che la carica dei telefonini calava imperterrita, indifferente agli umani, e che a nulla poteva il risparmio energetico. Mentre i telefoni si spegnevano uno dopo l’altro, come mosche, si è assistito a scene indicibili: ragazzi che per scacciare l’angoscia si mettevano a studiare filosofia ai tavolini del bar, una ragazza che leggeva sdraiata sul molo, senza alcuna vergogna, Gli indifferenti di Alberto Moravia, due amici che per passare il tempo abbordavano le passanti salvo accorgersi poi, con sgomento, che per appuntarsi i contatti Instagram delle tipe dovevano chiedere al bar una penna e un foglietto di carta. 

 

Sembrava una versione eoliana de Il signore delle mosche, con il panico che spingeva a gesti di violenza inconsulta, come rubarsi le sigarette elettroniche o strapparsi di mano il telefono per guardare TikTok o mandare un Whatsapp a chiunque, perfino alla mamma. Un improvviso e insopportabile senso di isolamento si impossessava degli animi, e ogni telefonino spento rappresentava un passo in più nel naufragio. L’impossibilità di comunicare con l’esterno, di mandare messaggi e guardare i social, restringeva all’improvviso l’esistenza al qui e ora, la rinchiudeva sull’isola, dimostrando nel modo più concreto che la capacità dei telefonini di indurre dipendenza deriva dalla loro natura teologica.

 

In Infanzia berlinese Walter Benjamin descrive lo scompiglio provocato dall’irruzione dei telefoni nelle case borghesi intorno al millenovecento. Ne descrive lo squillare improvviso che dissolveva la quiete dell’Ottocento, permettendo all’esterno di irrompere all’interno. Il telefono incuneò nel presente, cioè, per la prima volta, la voce dell’altrove. Allo scompiglio provato dai genitori di Benjamin, corrisponde ancora oggi, dal lato del figlio, l’attesa di una chiamata. Ma siamo tutti figli e tutti, infatti, abbiamo bisogno di sapere che qualcuno da fuori ci sta cercando o pensando. Per questo controlliamo ossessivamente i social nella speranza di una notifica. È un’attesa tecnicamente messianica che deriva, forse, dalla naturale tensione umana verso ciò che non c’è o non si può vedere, ma che potrebbe manifestarsi improvvisamente nella nostra vita. Di fronte a questa implicita promessa di felicità che giunge da fuori, la certezza del qui e ora si indebolisce e si fa cava. Il presente si fa sopportabile e piacevole soltanto quando il telefono è acceso e può permettere all’altrove, e alla felicità, di arrivare.

 

Alle 20 a Panarea, dopo sedici ore, la luce è tornata. Per festeggiare sono tutti andati al ristorante e hanno pagato con carte di credito. I telefonini sono stati subito rimessi in carica, ma è da quell’istante che i genitori a casa non hanno più ricevuto messaggi.

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