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spazio okkupato

La doppia telecamera del telefonino cancella la spontaneità

Giacomo Papi

Le istantanee del tifoso della Svizzera ci ricordano qualcosa di lontano: quando mettersi in posa non era di moda e le foto migliori venivano scattate di sorpresa. Oggi già alle elementari si conosce alla perfezione la grammatica dell'immagine

La sequenza di fotografie di Luca Loutenbach, il tifoso svizzero disperato all’89° per il 3-2 della Francia e raggiante al 90° per il 3-3 della Svizzera, non sono soltanto incontestabilmente comiche. Mostrano anche qualcosa a cui ci stiamo rapidamente disabituando: vedere espressioni umane spontanee nell’istante in cui si manifestano. Le fotografie che guardiamo su Instagram o su qualsiasi altro social network stanno cancellando il concetto stesso di istantanea, l’idea cioè che tra i compiti della fotografia ci sia quello di catturare, quindi di svelare, l’istante che il movimento nasconde: lo sguardo improvviso e il sorriso furtivo, quelle espressioni fuggitive che costituiscono il sostrato della nostra interazione emotiva con il mondo e che la fotografia per la prima volta è riuscita a cogliere e mostrare. Sembrano passati cent’anni, invece sono solo undici. Nel 2010 Apple lanciò l’iPhone 4, il primo telefonino di massa dotato di doppia telecamera (il primo in assoluto è lo Z1010 di Sony Ericsson, 2004). L’obbiettivo bifronte fece esplodere il bastone da selfie (inventato negli anni Ottanta da Hiroshi Ueda, un impiegato della Minolta che fu derubato al Louvre da un ragazzo a cui aveva chiesto di essere fotografato insieme alla famiglia), ma soprattutto rivoluzionò per sempre il modo in cui l’umanità percepisce sé stessa e si mette in scena per gli altri. 

 

Il tifoso della Svizzera immortalato in due diversi momenti della partita contro la Francia 

 

Negli ultimi decenni è progressivamente scomparso quello che Walter Benjamin nel 1931 in “Piccola storia della fotografia” definì “inconscio ottico”: “La natura che parla alla macchina fotografica è una natura diversa da quella che parla all’occhio; diversa specialmente per questo, che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall’uomo, c’è uno spazio elaborato inconsciamente. Se è del tutto usuale che un uomo si renda conto, per esempio, dell’andatura della gente, sia pure all’ingrosso, egli di certo non sa nulla del loro contegno nel frammento di secondo in cui si allunga il passo. La fotografia, coi suoi mezzi ausiliari: con il rallentatore, con gli ingrandimenti glielo mostra. Soltanto attraverso la fotografia egli scopre questo inconscio ottico, come, attraverso la psicanalisi, l’inconscio istintivo”. Dopo una settantina d’anni di istantanee, l’inconscio si è ritirato nell’ombra. La macchina fotografica non è più considerata un’arma per catturare e fermare l’istante, ma uno strumento per costruire la propria immagine pubblica.

 

Le foto d’infanzia di chi è nato fino ai primi anni 90 erano ancora basate sulla spontaneità. Si riteneva che le immagini più autentiche fossero quelle scattate senza che il soggetto se ne accorgesse. Il mettersi in posa per farsi ritrarre era fuori moda: rimandava a stagioni antiche, quelle in cui i soldati italiani, partendo per la Prima guerra mondiale, corsero in massa a farsi fare un ritratto, non immaginando che per molti di loro sarebbe rimasto l’unico della vita, quella che sarebbe rimasto sulle tombe della loro morte; o rimandava ancora più indietro, ai ritratti ottocenteschi di nonna Speranza quando i tempi di posa erano così lunghi che il concetto stesso dell’istantanea era impensabile. 

 

Negli ultimi vent’anni il miglioramento della qualità delle immagini e la possibilità di pubblicarle subito hanno trasformato la nostra vita sociale in una sorta di infinita serata delle diapositive dopo le vacanze. Il doppio obbiettivo ha ristrutturato e sfumato il confine tra chi guarda e chi è guardato, trasformando il soggetto in oggetto, lo spettatore in spettacolo. Le uniche foto spontanee pubblicate su Instagram sono quelle di persone adulte per non dire anziane che vogliono mostrare ad amici e conoscenti quant’erano belli o belle una volta. Tutti i ragazzini, invece, sono invariabilmente in posa. Alle elementari conoscono già alla perfezione la grammatica dell’immagine, il loro profilo migliore e i segreti dello sguardo da selfie e delle labbra imbronciate (in una replica inconsapevole e tragica delle labbra gonfiate per sembrare giovani delle loro mamme, in un’apoteosi di artificialità). E’ stato grazie o per colpa del doppio obbiettivo se abbiamo iniziato a metterci in posa davanti a noi stessi; se siamo diventati consapevoli di avere un’immagine e di doverla governare; se abbiamo capito quello che gli antichi sapevano, e cioè che ogni immagine ruba qualcosa dell’anima che ritrae.

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